Italia, terra promessa del rugby?

Versione ottimizzata per lettura su Smartphone (AMP).


Ero al Flaminio per Italia-Francia di rugby e siccome allo stadio vedo meno sport e molta più umanità del previsto, mi sono messo a farmi domande su questa moda del rugby in Italia e sul come la gente vive il rapporto con questo sport stupendo e complesso. La domanda di partenza era: “Siamo diventati degli appassionati della palla ovale o la gita al Flaminio con sole e birra ci solletica il gusto fino a che non ci invergheremo del Lacrosse tra hot dog e palazzetto climatizzato?”
Prima della partita regna una sorta di frenesia per l’attesa. La gente parla di gente gagliarda, tipi tosti e grande velocità affibbiando i termini un po’ a caso. Si nomina Parisse e Troncon e per la Francia si fa riferimento solo a quello con la barba lunga. La Federazione italiana rugby ha saputo costruire un gusto per il rugby seguendo due direttive: la prima è l’esaltazione dei valori di purezza, orgoglio, lealtà e fatica, la seconda è l’affermazione di questi valori visti in controluce rispetto al panorama calcistico nazionale. Durante il match ho ascoltato almeno dieci frasi del tipo: “Allo stadio tutto questo non poteva mai accadere” (anche se un tale magro come un lampione, dopo una quarantina di punti della Francia ha esclamato: “Signori, me ne vado a vedè a Lazzzio!” tra la reprimenda generale). Il rugby italiano, a buon livello nella seconda metà degli anni ’90 ha puntato tutto su una squadra nazionale discreta e ha saputo soprattutto attirare investimenti. Puntare tutto sui valori ha fatto sì che questo sport diventasse la cartina di tornasole per i marchi che vogliono identificarsi in quei mondi valoriali. Le istituzione hanno protetto economicamente il rugby perché nuova frontiera di visibilità senza la schizofrenia incontrollabile del calcio. I media hanno pensato di puntare fiche sul rugby perché nel rapporto costo-attrazione sponsor e pubblicità poteva essere conveniente. La RAI ha gestito il Sei Nazioni come di solito fa: sperimenta il rapporto domanda-offerta e poi si lascia scappare la cosa quando inizia a rendere. La7 ha puntato tutto sull’identificazione con questo sport, credo, riuscendo ad avere vantaggi e a guadagnarci. Adesso l’ha praticamente lasciata a Sky un po’ perché non può lottare con il colosso della pay tv e un po’ perché gli esperti vanno già dicendo da due anni che avremo una Nazionale sempre più debole. Pur avendo la diretta di tutti i match, su La7 il focus era esclusivamente puntato sulla nostra Nazionale e le altre partite, giocate in orari sconosciuti (finché non memorizzi l’andamento cronologico del Sei Nazioni), erano date in diretta quasi per dovere di cronaca e per non sperperare i diritti. Sky saprà in futuro costruire l’evento intorno alle partite della nostra Nazionale, ma sono certo che riuscirà in quello che La7 non ha saputo fare: creare attesa intorno alle altre partite grazie ad una potenza di fuoco promozionale di più ampio respiro (inoltre, si è già visto con i Mondiali di rugby in Francia nel 2007, nasceranno due voci “griffate” e riconosciute per il rugby: Antonio Raimondi e Vittorio Munari, mentre un tentativo in questo senso è stato tentato solo nella prima fase RAI con Marco Mazzocchi, poi dirottato verso altri lidi).
Entrano le squadre e ci si alza tronfi come tacchini imbottiti per cantare l’inno nazionale. Si canta a squarciagola e si sente l’adrenalina. L’attimo dopo si ingoiano patatine che costano 2,50 euro. Nei primi venti minuti gli spettatori restano incollati alla partita, dopo, la netta supremazia francese, manda tutto nello svacco più totale. Chi si spoglia per prendere il sole, chi ha voglia di birra altrimenti che partita di rugby è, chi cerca di sedurre una ragazza esaltando la scelta di averle fatto trascorrere un pomeriggio diverso, soltanto una volta ho sentito un incitamento stile calcio, quando un tale ha urlato: “Ma lo mannate all’ospedale quello o no?”. I pochi che erano lì per fare i tifosi dell’Italia dopo dieci minuti del secondo tempo se ne sono andati. L’80% degli altri che erano lì perché il rugby è uno sport meraviglioso dal 55’, ad ogni meta francese, chiedevano: “Quanto stiamo?”, con risposte sempre varie tra l’ottimismo della fede “Siamo 90-5 per loro ma ce la possiamo ancora giocare” e il pessimismo della ragione: “Siamo 50-15. Tommaso la prossima volta ti porto allo zoo”.
Finisce la partita e questo Sei Nazioni alla fine coraggioso per una squadra senza regia (abbiamo i due mediani che sono un buon quinto livello internazionale) con poco pacchetto di mischia (mentre fino ad oggi era un punto a nostro favore) e senza ali o centrosostegni veloci. Esco dal Flaminio con un’altra domanda: “Conoscete il Lacrosse?”

4 risposte a “Italia, terra promessa del rugby?”

  1. Io penso che l’Italia e il rugby siano come Andorra e il curling.
    Perchè ci vogliamo ostinare?
    Perchè continuano a invitarci?

    Prendiamo quei bonaccioni del Pakistan o del Bangladesh…loro, grazie o per colpa di Sua Maestà la Regina, hanno iniziato a giocare a Cricket…però hanno la decenza di limitarsi a quello. E in quello eccellono.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile, e cookies forniti e gestiti da Google per generare specifici messaggi in base alle abitudini di navigazione e agli interessi dei singoli utenti. Tali cookies non utilizzano, tuttavia, dati sensibili degli utenti.
Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.
Per ulteriori informazioni, e per disabilitare Doubleclick, seguire le informazioni riportate al seguente link: http://www.google.com/intl/it/policies/technologies/ads/

Chiudi