Letteratura Sportiva

USA-Chuck Palahniuk – "Gang Bang" 32 sqaudre-32 città

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Gli Stati Uniti hanno fatto vedere i sorci verdi agli squadroni in Confederations Cup, perdendo in finale con il Brasile per la poca abitudine nel saper gestire il risultato. Anche nell’estate 2010, gli Stati Uniti saranno una pratica molto difficile da sbrigare o un osso molto duro da digerire, se siete fanatici della metafora gastronomica. Il loro gioco è semplice ma moderno: corsa continua e grande preparazione atletica, pochi fronzoli che si abbinano ad un calcio coraggioso, “hot” e sicuramente poco noioso rispetto alle compagini statunitensi degli ultimi 15 anni. Seguendo la strada intrapresa da Bruce Arena, il marine Bob Bradley ha compreso appieno quello che può essere il calcio per gli americani: uno sport dove si mette in campo lo spirito, dove da una parte emerge il singolo da “promuovere” e dall’altra si compatta il gruppo. Un calcio che può definirsi per la prima volta americano, a dispetto delle tante influenze e dei pochi risultati della storia del soccer in USA.
La squadra ha giocatori di livello medio, che in un periodo eccezionale di forma possono diventare quasi imbattibili. La difesa gira intorno alle lune di Howard e alla robustezza di Bocanegra. Peccato per Onyewu che ha perso tutto dopo aver dimostrare di valere tanto. A centrocampo predomina il coraggio: Bradley davanti alla difesa e Dempsey incursore hanno poco da invidiare a tutti i centrocampi mondiali e se l’ala Beasley e il giovane Jay DeMerit avranno la voglia giusta, sono guai. In attacco Altidore deve metterci il fisico per fare un lavoro alla Toni 2006 e Donovan si spera faccia il Totti più mobile. Sembra sia chiaro che Freddy Adu è un bufalotto da panchina, mentre la mancanza tragica di Davies peserà tantissimo per il suo ruolo di accordo tra centrocampo e attacco e per la sua corsa sfiancante per qualsiasi difensore.
Squadra ordinata e feroce, che magari poco ci azzecca con l’aura di Chuck Palahniuk, ma sicuramente molto con la sua scrittura. Da poco ho letto “Gang Bang” (Mondadori, 2008), scelto perché Fight Club ha comunque significato qualcosa, poco per la copertina porno-vintage, molto per la quarta di copertina assai interessante. La protagonista è una vecchia ma non ancora smandrappata attrice porno che vuole mettere il record di penetrazioni continuative per dare un futuro migliore ad un suo fantomatico figlio abbandonato. Intorno al letto della protagonista passano diversi tipi umani, con focus sull’attoruncolo che ha dato tutto se stesso (e intendo tutto) per la carriera, l’ex divo porno, ammosciato nell’animo prima che nel basso ventre, il verginello che sogna la mamma, come un po’ tutti in quell’occasione (Edipo rules).
Il testo scorre tra fatti di cazzo e di cuore ma dice una cosa su tutto: quest’America e sempre più questo mondo ha bisogno di vedersi rappresentata per credere in se stesso.
Figlio e profeta di un’America schizoide, dove i sentimenti sono marchiati a lurido, Chuck Palahniuk modella una delle materie tematiche che più lo attizzano: il sesso/porno, ma con questo libro scrive prima di tutto della nostra società, denudandoci. Fin dove può arrivare il desiderio di immortalità congenita alla nostra irrefrenabile voglia di apparire? Questo libro è da leggere veloce, seguendo il ritmo rapace delle parole e delle statiche vicende. Palahniuk mostra l’America del gigantismo per esistere: se non si hanno nuove idee informatiche o si vara una band di dubbie tendenze sessuali, non ci resta che morire con il contabile del Guinness dei primati nei paraggi, affinché la nostra prima volta diventi anche l’ultima.
Alla fine del la storia tutti muoiono almeno un po’, perché i 15 minuti passano e si resta quello che si è.
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