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A differenza del calcio africano invece, un calcio non pronosticato, ma ormai terza forza del panorama mondiale, dopo Europa e Sud America, è quello asiatico, capace di prendere il meglio dalle filosofie calcistiche del Vecchio continente rimanendo però un calcio assolutamente peculiare. Fin dalla Corea 1966, quello dell’Asia è un calcio di movimento continuo, di fasi intercambiabili, di calciatori capaci di fare più ruoli, resistenti, abili nel gioco senza palla più che nel dribbling. Hiddink in Corea e le altre esperienze di allenatori europei in Giappone e Cina (ma stanno arrivando nazioni come il Vietnam e addirittura Kong Kong) hanno portato quello che mancava: articolati movimenti di difesa, capacità di girare la palla in velocità per non farsi soffocare dal pressing altrui, costruzione di attaccanti abili nel servire i compagni ma anche nell’andare alla conclusione vincente. Nella sfida in Africa tra i modelli di calcio emergenti, per adesso non c’è partita. Mediocre il calcio africano, senza squilli, con la sola giovane incoscienza ghanese sugli altari, ottimo quello asiatico, che sa sfruttare i pochi campioni di valore assoluto, creandogli intorno squadre da tourbillon aggressivo al quale partecipa, senza snobismi, il campione stesso.