Il compagno arancione di una vita. Questo è per tutti (tranne per i cicloamatori folli, gli amici che andavano in bici anche al piano di sotto) il Super Santos. Nel ’62 Stefano Seno, che vorrei tanto parente di Andrea Seno, lo immagina e lo fa creare. Diventa subito lo zenit dei desideri di tutti i bambini.
Questa piccola premessa perché il Super Santos per me e per tanti altri è stato tutto quello che dai 5 ai 16 anni si fa oggi con videogiochi, youtuber, siti porno soft, netflix e chatting, oltre ad un effetto placebo che tutto il Prozac che si prescrive ora non riuscirà mai a compensare.
La partita (se vogliamo citare il bellissimo libro di Pietro Trellini) con il Super Santos che mi riguarda ed è parte della mia vita e storia è quella giocata su uno spiazzo nei pressi del Monte Terminio, in provincia di Avellino, a circa mille metri di altezza.
Ero in scampagnata montana con gli amici, quattro contro quattro. Per pali avevamo due zaini, un albero e la mazza che era servita per farci strada nei sentieri. La salita ci aveva fatto respirare dell’aria fantastica, avevo i polmoni in festa come solo Cognetti sa descrivere. Nel bagagliaio ovviamente c’era l’oro arancione dei nostri pomeriggi e prima dell’attacco a capicolli e provoloni dovemmo obbligatoriamente giocare. Fu una partita totale, l’altura ci stancava e ispirava, l’irrorazione dei muscoli era assoluta e piena. Quando cadevi ti sporcavi, una delle cose più belle del calcio. Oggi mi è stato riferito da chi è negli spogliatoi tutti i giorni che i calciatori si incazzano più per una macchia sulla maglia che per un gol sbagliato.
Aria rarefatta, fango misto a letame come terreno di gioco, amici sudati e subito asciutti da un refolo che porterà a bronchiti costanti e il Super Santos. Ad un passo dal cielo.