INTERVISTA A MARCO CIRIELLO, AUTORE DI “MARADONA È AMICO MIO”

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Si è scritto tanto di Maradona e Diego nell’ultimo mese. Per questo motivo ho intervistato Marco Ciriello, per parlare del suo Maradona è amico mio”, 66thand2nd Edizioni, proponendo di discuterne attraverso delle parole chiave che ritrovo nel libro stesso e che in un certo senso muovono il rapporto fra Maradona, Napoli, il calcio, la storia personale dell’autore.

La prima parola è SOLITUDINE. Emerge dal libro e dalle storie intrecciate quella enorme di Diego e quella magari piccola per gli altri, ma ancora più grande per te, che è appunto la tua solitudine personale. Tutti oggi dicono che Maradona è morto solo, nonostante avesse vissuto una vita in mezzo al popolo o a delle tribù. Perché pensi sia successo e quanto è potente per il tuo modo di vedere il mondo la tua solitudine?

Maradona è sempre stato solo, come erano soli Carlo e Alessandro Magno, come era solo Adriano – raccontato dalla Yourcenar –, come erano soli Lenin e Castro. Era solo Muhammad Ali, era solo George Best, e posso continuare per altri quattro cinque nomi ancora. Era sola Marilyn Monroe, ed erano soli i suoi Kennedy, era solo Ernest Hemingway ed era solo Frank Sinatra come Kurt Cobain. Non conta il numero di cortigiani. Se vai oltre te stesso, per forza di cose rimani da solo, e ti metti a cercare qualcuno che anche solo per un attimo ti possa tenere compagnia. Per fare la storia hai bisogno di te stesso, per avere te stesso devi isolarti, isolandoti paghi un prezzo altissimo, che si chiami dipendenza o sperpero, assolutismo ideologico o ossessione geografico-territoriale.

La seconda parola è GENIO. Il genio maradoniano è stato tanti estremi diversi. Il genio vive solo ai confini o è ovunque, basta riconoscerlo e alimentarlo di talento, allenamento, innesco e Storia?

Carmelo Bene diceva: “Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può”. Maradona ha fatto quello che ha potuto, con quello che si è trovato, che, spesso era poco o niente. Il suo genio si è manifestato anche fuori dal campo, e per capirlo bisogna guardare a Pelé che si lucida il monumento da mezzo secolo, mentre Maradona ha provato a distruggere il suo. A parte uscire dal campo e provare a tornarci come una autentica dipendenza – quella sì –, a parte vivere la palla come un amore infinito, al quale tornare con tutto quello che la ricorda, Maradona poteva essere moltissime altre cose: da un leader politico a uno showman, ma è stato soprattutto sempre un ragazzo, persino quando il corpo l’ha rallentato, quando le parole si impastavano, ha conservato la scintilla del ragazzo, e un ragazzo ha sempre mille cose da fare e da sbagliare, lasciando sempre le cose a metà proprio perché non legato al tempo, convinto che tutto possa sempre avere un seguito. Maradona ha vissuto dando del tu all’eterno, fin da quando giocava – non visto – a Villa Fiorito, è questa una delle tesi borgesiane del mio libro. Il genio lo sa e sopporta il suo sapere, provando a realizzare quello che già conosce.

Terza parola: CORPO. Credo che Maradona sia stato così grande da un punto di vista sportivo per il suo corpo da freak. Aveva l’equilibrio massimo possibile ed è tutto per un determinato tipo di calcio. Ma il suo corpo è anche la serie tv più seguita della sua esistenza. In ogni puntata quel corpo forniva un colpo di scena. Che riflessioni fai sul corpo di Maradona?

Ne parlo per tutto il libro, il suo corpo è stato una giostra, lo ha allargato e ristretto di continuo, una volta ho scritto – con grande scalpore della agenzia El Telam – che l’ha usato come  James Dean usava la sua Porsche. Maradona era elastico, una specie di Yuri Chechi di caucciù, un po’ supereroe un po’ stregone. A vederlo da vicino non sembrava che un corpo così piccolo potesse contenere tutta quella magia e quella forza. Poi ci sono le mutazioni che vanno dalla testa – pensa ai capelli, solo su quello si può fare un romanzo andando oltre tutti i tagli che evoca Nino Manfredi in “Straziami ma di baci saziami” di Dino Risi – ma anche alla caviglia che si riprende dopo l’incidente, passando per la fame sessuale, fino ad arrivare a questo cuore costretto a fare sempre gli straordinari tra atletismo e cocaina. In pratica Maradona è a-umano, un esperimento irripetibile frutto delle privazioni dell’infanzia e della capacità d’immaginarsi altro da sé e dal contesto che l’ha prodotto. In questo il paragone è con quel palestinese che nasce in una stalla e mette in discussione la legge del tempio. Qua c’è anche l’imperdonabilità dell’ascesa e della metamorfosi. Pensa se fosse stato anche bello come il palestinese e se invece di drogarsi avrebbe moltiplicato anche i pani oltre i gol.

PASSATO. Tanti hanno pianto per Maradona morto perché gli ricordava un passato, il loro personale passato. Perché alcune figure addensano significati come una sorta di calamita con la polvere di ferro? In un attimo, come diceva anche Pasolini della morte, queste figure riescono a farci ricostruire un percorso di senso del tutto personale, a cui tutti pensano e del quale appunto hanno malinconia.

L’Occidente si sta svuotando dai riti, ne ha tantissimi come le nuove categorie della boxe, perdendo così quelli principali. Alcune morti riescono a vincere questa tendenza e ci riportano al passato. Quella di Maradona è come la morte di un re greco, persiano, o come quello del re portoghese Dom Sebastião di cui parla Mario Vargas Llosa. C’è un prima e un dopo, ed è possibile questo prima e dopo perché l’uomo che muore ha rappresentato qualcosa, non è solo stato un rito stanco, un passaggio, un’emozione da consumare, un prodotto da acquistare, no, ha creato un’appartenenza, che ha messo radici, e questa appartenenza passa per la metamorfosi. Diego non è un destinato da una famiglia reale, non è il rampollo a capo di una multinazionale, no, è pre-destinato che dalla nullità arriva alla deità. Il suo percorso biografico è favola. Un povero che ce la fa, e non imbrogliando, no. Ce la fa con la purezza del gesto. È solo con la palla. Come i cavalieri con la spada. Il resto è racconto che gli corre dietro.

FUTURO. Hai già immaginato il futuro che verrà destinato a Maradona? Il più grande, il drogato, l’assassinato dai farmaci, il gol di mano, il gol del secolo, la lotta per l’eredità. In che modo parleremo di lui tra due anni?

Premessa: quelli che separano, distinguono, cavillano, sono dei cretini o peggio delle persone banali, incapaci di capire. Non si può andare al concerto dei Metallica  e chiedere loro di abbassare il volume, se ci vai accetti le condizioni di quel concerto. O non puoi chiedere al Tarantino di Pulp Fiction di darsi una cronologia. Capisci che è una richiesta illogica proprio quando vuoi imporre la logica elementare. Maradona è un prodotto di Vonnegut, è elementare nella sua illogicità. Maradona è l’applicazione del Comma 22: si droga perché eccede nello sport, ed eccedendo si trova in una solitudine assoluta, che è l’oltrenoia zeusiana.

LUI E TE. Il tuo libro è del 2018. Oggi Maradona è morto. Come cambierà la splendida rete di relazioni che hai descritto nel libro?

Non cambia, si infittisce, si rinnova. Quando pensavo di non doverne scrivere più, si è riaccesa la voglia e mi sono arrivate mille richieste, alle quali piano piano sto rispondendo. La morte costringe ai bilanci, scioglie i nodi e crea legami indissolubili perché passano per l’eternità o quasi. Nel caso di Maradona siamo davanti alla ziggurat di Ur già in vita, che in morte cresce a dismisura e ti costringe a riprendere le misure, a riguardare gli spazi, a ritornare a sul posto, a ri-fotografare e ri-disegnare, a chiederti: l’avevo capito? In poche parole Maradona mi costringe al gioco del mondo: rifare quando pensavo d’aver finito. Non succede sempre.

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