Un manicomio tra i pali

Versione ottimizzata per lettura su Smartphone (AMP).


Il ruolo del portiere è una molecola mai insipiente dell’ingranaggio calcio. Ha poche possibilità di diventare protagonista più o meno quante ne ha di essere inutile: dicotomia irrisolvibile e senza speranza. In un ruolo così “algoritmicamente” complicato si affermano persone di un certo “spessore”, diviene logico, e si mettono in mostra uomini che nella loro inutilità apparente brillano di luce propria. Luigi Guelpa con il libro “Un manicomio tra i pali” della Limina editore ha tirato fuori questo bagliore consistente che differenzia i portieri dagli altri calciatori, questa scintilla particolare che li fa rifulgere. Ed in ogni ritratto di Guelpa si scoprono pensieri, chissà perché, migliaia di chilometri lontani da quelli degli altri calciatori: si capisce perché un colombiano cresciuto tra pallottole e sacchetti bianchi vuole diventare un portiere oltre la geometria dello spazio recintato, si viene a conoscenza che un mercenario combattente di guerre putride ha voglia di scherzare con gli uomini e la loro cattiveria, si comprende il sacrificio di un portiere che si trancia la fronte per vedere l’Italia degli stadi e non quella della pastasciutta, si ammira un tedesco odiato perché figlio di Hitler che fa breccia nelle anime degli inglesi. Tutto ciò accade solo per i portieri e nel libro questo viene fuori perfettamente. Succede al portiere, io credo, perchè è un ruolo “di terra”, né di vento come l’attaccante o di mattoni come il difensore, il portiere si frammischia con la terra, ne diventa parte, la assorbe, la fa propria; una partita è un fatica fatta prima di tutto di fango e solo per un attimo di voli brevissimi e cadenti. E una cosa del genere segna il carattere non è acqua che scivola addosso.

2 risposte a “Un manicomio tra i pali”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *