I dieci secondi della morte di Paolo Cané

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La Coppa Davis appena trascorsa tra Italia e Lettonia mi ha fatto venire in mente i bei tempi andati, quando un numero 70 o giù di lì come Cané riusciva a battere un numero 1 o giù di lì come Mats Wilander.

Primo turno, Coppa Davis, Italia-Svezia, Cagliari, 1990. La poveretta Italia, come quella di oggi, sfidava i colossi storici. Ci mettevano un cuore, Cané, Nargiso e gli altri che a guardarli emoziona ancora.

Paolo Cané poi era il monumento sbrecciato del tennis italiano. Pessimo al servizio ma col turbo-rovescio integrato, dai movimenti lenti e mosci come una gallina soprappensiero e con delle strane idee in testa per ogni match, tanto da meritare da Clerici l’appellativo di Neuro-Cané.

Cané-Wilander era il match decisivo tra i numeri uno. Domenica scese l’oscurità e tutto fu rinviato a Lunedì mattina.

Alla fine Cané questa partita la vinse 64 36 46 75 75 con un penultimo smash salvato da Wilander e l’ultimo troppo profondo e veloce.

Con Galeazzi che vomitava piacere e tutto il pubblico che saltava sul campo per abbracciare Paolino, che quasi sveniva dall’emozione.

Avevo dieci anni ed era tutto fantastico. E l’ale-oo era molto meglio del po-po-po-po.

E prima c’era stato il tuffo, con la morte che arriva solo per dieci secondi.

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