Inutile pensarci troppo o troppo poco, nello sport si odia, magari il bello è anche questo. Nella mia carriera di sportivo attivo ho odiato di tutto, dal mediano del Pellezzano al terzino sinistro del Vietri sul Mare, ma nella mia carriera di sportivo passivo ne ho odiati molti di più, da Indurain, che non faceva vincere mai il Giro a Chiappucci, a Dunga, che gridava dopo la finale di USA ’94.
Ma quello che avrei bruciato in piazza, mentre io stesso appiccavo il fuoco sorridendo e accogliendo felicitazioni, è Stéphane Guivarc’h. Mi stava sui coglioni da sempre in pratica, anche perché era di uno scarso incredibile. Ma il momento in cui stavo tirando una sedia contro la tv per cercare la contundenza a distanza chilometrica è stato quando ha spaccato lo zigomo a Cannavaro nei quarti di finale di Francia ’98. Fabio Cannavaro, il guaglione che avrei trovato uscendo di casa, sfondato da quel mezzo centravanti (si nota che mi sto trattenendo? Vorrei scrivere tante di quelle male parole. Almeno un “Chitemmuorto” lo merita ancora) e quello (oltretutto biondino, mamma mia, da spezzargli le ginocchia al primo sguardo proprio) che si lamentava pure, dicendo magari che noi italiani eravamo bravi solo a sceneggiare.
Io se incontro Stéphane Guivarc’h per strada gli do un “papetto” che lo rivolto. E ora vammi a denunciare!