SARRI. INTERVISTA A ANDREA COCCHI

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Nel tuo libro ci racconti l’intera parabola sarriana, dalla Seconda categoria alla Champions League. Per te la sua è più un’evoluzione in relazione alle situazioni che ha dovuto affrontare, con relativo adattamento delle idee di calcio, oppure è il racconto della capacità di portare dei principi forti in tutti i contesti in cui si è trovato ad allenare?

Credo che l’aspetto più significativo sia quello legato a una coerenza tattica di fondo che però non lo colloca nel gruppo degli allenatori che per anni abbiamo chiamato “integralisti” alla Zeman o alla Sacchi, per intenderci. Un po’ perché il calcio è cambiato e l’integralismo non è più applicabile con le modalità e le logiche degli anni ’90 e molto perché, ragionando ormai più sui concetti che sui movimenti codificati, anche gli allenatori con una precisa identificazione tattica sono costretti ad adattarsi alle diverse situazioni in cui si trovano ad allenare.

Tu che lo hai raccontato, facendotelo anche raccontare da chi lo ha seguito nel suo percorso, qual è l’elemento più importante del suo calcio che Sarri ha modificato, ritrovandosi in contesti sempre più sfidanti e difficili?

Se l’organizzazione difensiva è rimasta più o meno la stessa nel corso degli anni, la fase offensiva, pur rimanendo fedele a principi ben identificabili (predominio territoriale con un possesso finalizzato alla ricerca della giocata in verticale, creazione e sfruttamento dello spazio con scambi ravvicinati ad alta velocità con l’utilizzo di triangoli e rombi dinamici, ricerca della superiorità numerica sovraccaricando una zona di campo per poi sfruttare il lato debole) ci sono delle differenze sostanziali che dipendono dalle caratteristiche degli interpreti. Lo stesso discorso vale per il sistema di gioco. L’unica certezza resta la difesa a quattro e l’utilizzo di giocatori scaglionati sul terreno (difficile immaginare una sua squadra disposta con il 4-4-2, per esempio).

Che valore ha l’ossessione per Sarri?

Credo che sia una parte preponderante del suo modo di lavorare. Ma è comunque il valore aggiunto di tanti tecnici che hanno dato molto all’evoluzione tattica del calcio. Oltre a Sacchi, per il quale addirittura l’ossessione si è trasformata in un fattore di stress così forte da costringerlo a lasciare la panchina, anche due contemporanei di Sarri, come Conte e Guardiola, hanno questo approccio “totalizzante” con il loro lavoro.

Oggi, grazie a Klopp così vincente, si parla molto più di verticalità che di fluidità. Sarri, che nasce sacchiano e introietta nel suo gioco quello posizionale di Guardiola, come credi sappia inglobare anche le idee del tecnico tedesco nei suoi sviluppi futuri?

Credo che siano visioni differenti ma non agli antipodi. Basti pensare al gegenpressing, o riaggressone, un must del calcio di Klopp, che è una delle componenti più importanti della nuova Juve sarriana. Ma l’iperdinamismo e l’iperverticalità del Liverpool hanno connotati diversi rispetto ai concetti posizionali che anche un allenatore diverso da Sarri e Guardiola, come Conte, ritiene fondamentali nell’espressione offensiva delle sue squadre. In fase difensiva, poi, spesso il Liverpool inizia ad aggredire qualche decina di metri più in basso rispetto a quanto richiesto alla Juve attuale.

Hai un’idea più chiara su cosa è successo con De Laurentiis? Perché tutto è finito così male?

Onestamente credo che la verità la conoscano solo i diretti interessati. De Laurentiis si aspettava che Sarri fosse entusiasta di proseguire con il Napoli e non ha preso bene i dubbi dell’allenatore toscano accelerando i contatti con Ancelotti. Se avesse aspettato un po’ di più forse Sarri sarebbe ancora sulla panchina del Napoli.
Abbiamo un’idea di Sarri abbastanza netta, quasi stereotipata (il burbero toscano che si è fatto da solo con la fatica e l’ossessione).

Dopo averlo analizzato così nel profondo, qual è l’aspetto non considerato che invece emerge?

La simpatia e la capacità di sdrammatizzare. Credo che sia questo forse l’aspetto che meno si conosce ma che emerge dai racconti delle persone che hanno lavorato con lui.

190810 Coach Maurizio Sarri of Juventus during the International Champions Cup match between Atletico Madrid and Juventus on August 10, 2019 in Stockholm. Photo: Kenta Jönsson / BILDBYRAN / Insidefoto / Cop 210 ITALY ONLY


La Juve deve gestire un brand grande quasi quanto il suo (CR7) e un allenatore perlomeno “fermo” in alcune sue decisioni. Come si può equilibrare un contesto così infuocato?

A parte qualche scaramuccia dovuta a sostituzioni poco apprezzate dal portoghese, credo che il rapporto tra i due sia quello classico che si instaura tra un allenatore intelligente, che sa di dover gestire un brand oltre che un fuoriclasse ed è quindi costretto a dover scendere a compromessi, e un campione che può farti vincere le partite da solo.

Per te come e in cosa cambierà Sarri per adattarsi a Cristiano Ronaldo?

È la struttura di gioco della sua Juve che si adatta a Ronaldo. Quando parte da sinistra si sviluppano le classiche giocate per catene laterali con la mezzala e l’esterno basso, quando si sposta al centro (seguendo il suo istinto che Sarri non si sognerà mai di imbrigliare) si inserisce in un contesto fatto di scambi ravvicinati per cercare il passaggio filtrante in profondità. A seconda di come finisce l’azione si posiziona poi nel modo giusto per iniziare l’azione di pressing con l’altra punta e il trequartista. Pochi ma chiari concetti, senza costringerlo a gabbie tattiche che sarebbero controproducenti.

Dopo la Juve, cosa potrebbe volere un allenatore come Sarri?

Ha già detto che allenerà ancora pochi anni prima di smettere. In effetti arrivare alla Juve partendo dalla penultima categoria del calcio italiano è già un traguardo difficilmente superabile.

Quali sono i tre libri di letteratura sportiva da non perdere?

Al primo posto “Open”, la storia di Agassi raccontata dalla penna straordinaria di J.R. Moehringer. Subito dietro “Febbre a 90’” (Fever Pitch) di Nick Hornby. Poi, consentimi di metterne altri due, “Splendori e miserie del gioco del calcio” di Galeano e “Storia critica del calcio italiano” di Gianni Brera.