O ZICO O AUSTRIA. INTERVISTA A ENZO PALLADINI

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Di Zico se ne parla sempre poco, tra i grandi del calcio è dimenticato o citato di striscio. Hai un’idea sul perché?

La prima risposta è che non ha mai vinto un Mondiale. La seconda è che non ha mai vinto una Coppa dei Campioni. Sono momenti che consacrano un fuoriclasse ma che purtroppo fanno passare alla storia anche un Olarticoechea qualunque. La Coppa Libertadores di cui Zico va orgoglioso non è la stessa cosa. Andando all’Udinese, Zico ha reso famosa nel mondo una società che forse non gli ha dato in cambio lo stesso contributo di popolarità. Noi però saremo sempre grati a Mazza e Dal Cin di averlo portato qui.

Tu sei un grande conoscitore dell’anima calcistica brasiliana e non solo. Per te Zico rispecchia in pieno l’idea di campione che hanno in Brasile?

In tutto e per tutto. Perché ha sempre dato tutto se stesso per la maglia verdeoro, perché ha pianto per un Mondiale perso, perché ha dimostrato sempre attaccamento per l’amore della sua vita, il Flamengo. Poi perché il suo gioco è stato spettacolo puro, gol bellissimi ma anche giocate da togliere il fiato.

Da un punto di vista “popolare” invece, in Brasile Zico è ancora un’icona come hai ben descritto per il suo tempo nel capitolo del libro in cui parli di tutte le citazioni presenti in canzoni e film?

La commistione tra il calcio e le altre arti è molto sentita dal popolo brasiliano. Il calcio non è percepito come uno sport ma come l’insieme di altre espressioni. Il calcio brasiliano è bellezza come le forme di una bella ragazza, è musica come le note di un samba, è pittura con le traiettorie magiche dei campioni, è poesia quando si festeggia una vittoria. Zico è stato un fenomeno di calciatore ma anche un dignitosissimo cantante e ballerino di samba.

Hai visto giocare Zico dal vivo? Che ricordi hai di quella prima volta?

Milan-Udinese a San Siro. Quasi da abusivo, nel senso che con la connivenza degli addetti stampa di Inter e Milan in quella stagione sono riuscito a intrufolarmi in tribuna stampa con una tessera di “collaboratore del Corriere dello Sport-Stadio”, non avendo ancora la tessera di pubblicista (arrivata poi nel settembre 1984). Quel giorno Zico segnò il gol più bello della sua carriera italiana, una rovesciata che lasciò San Siro a bocca aperta. Finì 3-3.

Guardando Zico purtroppo solo attraverso uno schermo, mi hanno sempre impressionato due caratteristiche, molto ricercate nel calcio contemporaneo: la capacità di giocare con un tempo in anticipo e la verticalità (basti vedere il terzo gol del Fla contro il Liverpool oppure il gol di Socrates contro di noi). Ce ne puoi parlare meglio, era davvero così?

Parlando con i giocatori che l’hanno affrontato l’impressione è che sia proprio così. Riccardo Ferri dice che bastava muovere un sopracciglio e lui ti fregava. Velocità di esecuzione assolutamente irripetibile. Attenzione sempre focalizzata all’obiettivo, la porta avversaria. Vista geometrica e tridimensionale, che gli consentiva di trasformare il pallone in un radar.

Voglio che ritorni al 1982 e a quel 5 luglio. Prima della partita cosa pensavi di quel calciatore con la maglia numero 10 e di quella squadra?

Quello che penso tuttora. Il Brasile più forte della storia alla pari con quello del 1970, con la differenza che lo stile del 1970 era applicabile solo in quella precisa realtà, mentre il Brasile del 1982 oggi, senza cambiare di una virgola, se non qualche piccolo accorgimento tattico, lotterebbe ancora per vincere il Mondiale, ovunque si giochi. Purtroppo per Zico, che all’epoca ritenevo più forte di Maradona (ma ero ancora minorenne, poi mi sono convertito al maradonesimo), il Brasile trovò di fronte un’Italia perfetta e irripetibile. Detto questo, a portieri invertiti e con Careca al posto di Serginho, forse la storia l’avrebbero scritta loro, nonostante il meraviglioso lavoro di Bearzot.

Qual è per te la caratteristica tecnica di Zico che ritrovi anche nei grandi campioni del presente?

Davvero poche. Quasi nessuna. Si potrebbe dire l’abilità nel calciare le punizioni. Ma come calciava le punizioni Zico? Giovanni Galli ha risposto così: “Le calciava benissimo però mai nello stesso modo”. E se non riesce a dare una spiegazione un grandissimo portiere, figuriamoci uno che ha giocato al massimo nel Fatima alla periferia di Milano.

Cosa è mancato a Zico? Non dico la vittoria con il Brasile, ma in quanto giocatore che potesse diventare un riferimento ancora più forte ed epocale nella storia del calcio.

Una cassa di risonanza adeguata, forse. Durante la sua epoca la rivalità poteva essere con Platini e Maradona, che avevano intorno a sé un corollario di letteratura e comunicazione degno della loro classe. Zico è sempre stato un ragazzo della porta accanto, non ha mai negato un autografo, si è sposato giovane e non è mai stato sfiorato da storie di gossip. Può darsi che gli sia mancata l’etichetta di poeta maledetto stile Maradona o quella di aristocratico sprezzante stile Platini.

Hai raccontato Zico con la tua solita leggerezza stilistica unita a profondità nelle informazioni. Il giornalismo sportivo italiano a cosa deve guardare per un futuro migliore?

Domanda di riserva? Per chi ha lavorato negli anni ’80 e ’90 con la possibilità di trovarsi faccia a faccia con Gullit, Van Basten, Maradona, Falcao, Platini, Giovanni Agnelli, Silvio Berlusconi, Ernesto Pellegrini, Massimo Moratti, Corrado Ferlaino, Lothar Matthaeus eccetera eccetera, il mondo attuale è una specie di prigione. L’idea che calciatori e allenatori possano parlare solo in conferenza stampa con l’eccezione di un’intervista all’anno ottenuta attraverso mesi di carte bollate per gentile concessione dei club, rende tutto molto triste. Essere indicato da Trapattoni con l’indice destro e sentirsi dire: “Ti ho letto oggi, adesso facciamo i conti”, all’epoca poteva essere un momento di brivido, oggi è un ricordo meraviglioso. Il giornalismo di oggi è un’altra cosa, purtroppo utilizza in maniera smodata il “copia e incolla”, ma non è facile uscirne.

Quali sono per te i tre libri di letteratura sportiva da leggere assolutamente?

Tutti quelli delle edizioni inContropiede per definizione. Se però devo scegliere tre di altre case che mi sono piaciuti più di tutti, direi in assoluto “Febbre a 90’” di Nick Hornby. Poi un libro sulle corse di lunga distanza che mi è rimasto nel cuore dalla prima lettura di 30 anni fa: “La sfida di Flanagan” di Tom McNab. E per non far torto a nessuno dei miei amici (Franco Esposito è il mio fratello maggiore e ha scritto 19 libri favolosi), cito uno dei miei maestri, Franco Rossi, con il suo geniale “Perda il migliore”, scritto per Limina e difficile da recuperare ma delizioso dalla prima all’ultima pagina.

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