“COPPI ULTIMO”. INTERVISTA A MARCO PASTONESI

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1 – Chi era il Coppi del suo ultimo anno e soprattutto cosa sarebbe stato il Coppi degli anni ’60 e ’70?

Era uno uomo stanco, che si riempiva di appuntamenti e impegni forse per andare in fuga non più dagli altri corridori ma stavolta da se stesso. Era un uomo diviso e raddoppiato, aveva due famiglie personali e altre due famiglie, quella della nascita e quella del ciclismo. Era un uomo e non solo un mito, una leggenda, un campione, il Campionissimo. Sarebbe stato un manager: aveva idee, intuzioni, voglie, si poneva obiettivi, mete, altri traguardi, possedeva una sana cultura contadina.

2- Coppi nel tuo libro è un sole e intorno a lui decine e decine di pianeti vorticano. Al di là delle vittorie e della grandezza sportiva, che hanno toccato tantissimi campioni, perché alcuni campioni dello sport, come Coppi, hanno un’aurea così forte da influire sulle traiettorie di vita altrui?

Era un uomo generoso (anche se qualche caso contrario c’è stato, come riferito da Renzo Zanazzi), aperto, sofferto. Era un uomo che ce l’aveva fatta e quelli come lui lo sapevano e lo apprezzavano. E aveva accompagnato tutti gli italiani prima e dopo la guerra, fino all’alba del boom economico. Coppi era l’immagine bella dell’Italia che aveva scalato salite misteriose e finalmente scollinava.

3 – Il tuo libro a un certo punto esplode in mille coriandoli di ricordi e testimonianze dirette. C’è un documentario bellissimo che si chiama “Beatles Stories” e fa parlare centinaia di persone che per un motivo importante o per uno futile hanno avuto un contatto con i Beatles. Il tuo libro mi ha fatto ripensare a questo documentario e al fatto che ci siano alcune persone che marchiano i ricordi con una potenza immaginativa davvero speciale. Come te lo spieghi?

Dov’eravamo l’11 settembre? Uguale: dove erano quando furono trafitti dalla notizia della morte di Fausto Coppi? Coppi era entrato nella vita dell’Italia e degli italiani (e non solo). Era stata un’apparizione, una folgorazione, un’illuminazione, e quel preciso istante viene ricordato da tutti in maniera indelebile. Una corsa, una scampanata, un incontro casuale o un appuntamento inseguito, una voce alla radio o un articolo di giornale, una bicicletta o un paracarro.

4 – Parli di un Coppi molto “campione dell’oggi” in realtà, in quanto errante in mille luoghi ed errabondo nell’animo. Pensi sia una lettura corretta o il magnete Castellania alla fine lo avrebbe in qualche modo sopraffatto e fatto tornare, stabile e ottocentesco, alla sua terra.

Sarebbe tornato a casa. Sarebbe rimasto a casa. Anche se con villa a Novi Ligure o appartamento a Milano, anche se con la valigia in mano e il passaporto in tasca, anche se riprodotto su lamette da barba o su marchi di biciclette. Castellania è Coppi e Coppi è Castellania, tant’è che oggi quelle quattro case in cima a una collina si chiamano proprio così: Castellania-Coppi.

5 – Da quello che scrivi emerge un Coppi che pensa molto al futuro, personale e del suo sport. Come pensi stesse immaginando in quel momento Coppi il ciclismo dei successivi 30 anni?

Aveva sentito che la bicicletta non sarebbe mai stata abbandonata, ma sarebbe sempre rinata. Aveva intenzione di esportare le sue biciclette in Africa, quarant’anni prima di quello che avrebbe poi fatto Tom Ritchey, l’inventore delle mountain bike, con le sue bici-cargo in Rwanda.

6 – Mi interessa tanto la figura di Meo Venturelli, di cui hai scritto anche “Meo volava”, altro libro molto bello. Cosa aveva visto Coppi in questo giovane ciclista che considerava in un certo senso il suo delfino?

Aveva visto le stimmate del campione, ma anche la leggerezza, la spensieratezza, l’incoscienza, le trasgressioni che lui non aveva avuto il coraggio di adottare o affrontare. Coppi era stato un monaco, Venturelli un eretico. Coppi era stato un ambasciatore, Venturelli un demonio. Coppi sorrideva, Venturelli moriva dal ridere. Coppi si preoccupava, Venturelli se ne fregava. Fra i due c’era un’intesa epidermica e allo stesso tempo sentimentale.

7 – Coppi forse è l’unico campione sportivo italiano in cui nel mondo ci si toglie davvero il cappello. Calpesta con entrambi i piedi il terreno del mito perché non ne abbiamo visto la decadenza, perché ha rivoluzionato il suo sport o perché è deflagrato in un momento in cui molti erano senza punti di riferimento e in qualche modo lo hanno trovato in questo meraviglioso ciclista?

Tutto questo, e altro ancora. Coppi è diventato un personaggio letterario. Tutti hanno contribuito a renderlo anche più grande di quello che era. Nella geografia e nella storia, nello sport e nella scienza, nella letteratura – appunto – e nella poesia. Coppi è un padre della patria, un Garibaldi a due ruote.

8 – Non voglio fare il tuo agente letterario, ma mi devi promettere che ci pensi. Il 24 e 25 ottobre 1942 Milano è squassata dal primo fitto e potente bombardamento aereo da parte delle Forze alleate. Il 7 novembre Coppi stabilisce il nuovo record dell’ora al Vigorelli. È una storia che devi farci la grazia di raccontare.

Grazie, Jvan, per la (sovra)stima, ma lo hanno già fatto. Mauro Colombo, “L’ora del Fausto”, Ediciclo, 2013.

Dovrò leggerlo.

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