Per descrivere la storia di un uomo ma anche le origini e in parte i valori di una squadra di calcio avete scelto la forma romanzo, ci spiegate questa scelta?
Originariamente abbiamo costruito la storia per scriverla come sceneggiatura, poi siamo stati avvicinati da vari editori e abbiamo deciso di buttarci nell’esperienza di scrivere un libro. Sapevamo fin da subito che volevamo creare un racconto di finzione. Ci sono poche informazioni su Herbert ed eravamo attratti dai buchi nella sua storia. Volevamo concentrarci sull’esplorare la sua personalità, le pieghe dell’animo, i lati oscuri e gli aspetti meno conosciuti ma secondo noi altrettanto rilevanti del pioniere. Volevamo provare a rispondere alla domanda: chi è quest’uomo, da dove proviene e perché questo sogno calcistico è stato così importante.
Chi erano gli inglesi tardo-ottocenteschi che hanno diffuso il calcio nel mondo?
Certamente il dottor Spensley che sbarca a Genova e in breve tempo crea una squadra temuta da tutti; Thomas Savage, a cui si deve la famigerata maglia rosa della Juventus e le strisce bianco e nere esportate dal Notts County; Herbert Kilpin e Samuel Davies al Milan; i fratelli Witty che si uniscono al pioniere svizzero Joan Gamper e fondano il Barcellona; Tom E. Griffith, lo studente che fonda il Grasshopper Club di Zurigo. I pionieri inglesi dimenticati o poco conosciuti che tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 emigrano soprattutto per lavoro sono molti. Nell’incontro fra le loro tradizioni e la curiosità delle comunità in cui si insediano nascono le fondamenta del calcio italiano ed europeo. Basti pensare anche a città come Napoli, Palermo, e Bilbao che, per esempio, era un polo industriale capace di attrarre molti lavoratori tra cui minatori dal Nord Est dell’Inghilterra.
Attraverso quali fonti avete ricostruito le vicende di Herbert Kilpin e la storia della nascita del Milan?
Le informazioni sulla vita di Herbert Kilpin sono limitate. Abbiamo fatto del nostro meglio per rimanere fedeli alla sequenza degli eventi che conosciamo e che si evincono da estratti di giornale e testimonianze, come quelle che lo ritraggono nella compagine di una squadra, o lo statuto della fondazione del club e le persone coinvolte in quegli atti. Tutto questo ci è stato utile per capire dove Herbert si trovava in determinati momenti della vita e per ricostruire la nascita della squadra. Le fonti sono state estremamente utili, ma nel processo le abbiamo poi messe da parte per lavorare ai temi e ai caratteri che volevamo emergessero dalla storia. Soprattutto fuori dal campo abbiamo lavorato di immaginazione. Per quanto riguarda la sua famiglia, abbiamo parlato con l’unica parente lontana ancora in vita che ha condiviso un albero familiare ricostruito, prezioso per lavorare al ritratto della vita famigliare a Nottingham. In gran parte abbiamo colmato i vuoti immaginando la personalità di Herbert. C’erano aneddoti sulle sue abitudini e inclinazioni all’alcool, sul whisky come compagno fedele anche in campo, sul vizio del fumo, sul calcio come priorità e ossessione della vita. Tutti aspetti che delineavano una persona ambiziosa, determinata e a tratti ossessiva. Volevamo esplorare l’uomo comune che diventa pioniere e cercare di raccontare chi ci fosse dietro l’impresa.
Cosa pensano oggi in Inghilterra della diffusione globale della loro idea di leisure time ottocentesca, in cui è incluso anche il calcio? Ne fanno un fatto di orgoglio o è semplicemente una deriva “coloniale” che non gli interessa più di tanto?
Tre sport rientrano senza dubbio in questa categoria: il calcio, il rugby e il cricket. Ognuno di questi attrae un tipo di pubblico e tifoseria variegati ed è interessante notare come ognuno ricopra maggiore o minore importanza in diverse parti del mondo. I tifosi inglesi sono sempre appassionati e certamente orgogliosi del patrimonio e delle tradizioni sportive nate nel Regno Unito e diffuse in altri paesi. C’è anche la consapevolezza opprimente che ci siano nazioni che hanno adottato lo sport inglese, l’hanno coltivato facendolo crescere e ora sono decisamente migliori. Per non parlare di Wembley…
In Inghilterra vengono ricordati i loro pionieri che hanno diffuso il calcio nel mondo o sono figure quasi del tutto scomparse e poco interessanti?
Nella nostra esperienza i pionieri sportivi tendono ad essere poco conosciuti fuori dalla cerchia di storici, appassionati e persone legate per qualsiasi motivo alle squadre. È anche per questo che abbiamo voluto raccontare la storia di Herbert, tra gli altri. In un’epoca in cui l’immigrazione è usata come bersaglio politico e il dibattito si è acceso non soltanto in Europa ma in tutto il mondo, è importante raccontare la forza dell’incontro tra culture diverse e ricordare agli abitanti del Regno Unito che anche loro sono stati e potranno essere migranti. Il calcio, lo sport in generale, è un esempio perfetto di ciò che ci unisce, fuori dalla politica, la religione o lo status socioeconomico. Lo sport trascende tutto questo.
Nel documento di soft power britannico in questo momento valido, la Premier League è il terzo vettore citato dopo la BBC e la diffusione della lingua inglese attraverso le Università britanniche accreditate. Il calcio quindi anche per la politica è una dimensione molto importante dell’identità britannica da presentare al mondo? Si sente forte in Inghilterra questo peso del calcio inglese nel mondo?
Di questi tempi ci si lamenta molto della quantità di denaro che circola intorno alla Premier League. Per molte persone non è più un campionato inglese ma internazionale, non è più un campionato di calcio ma un business da spremere. Dall’altro lato è anche vero che attrae i migliori giocatori al mondo e le squadre inglesi hanno tifoserie in centinaia di paesi ad ogni lato del globo. Per alcuni tifosi c’è la percezione che l’identità dei club si perda negli investimenti stranieri e in affari miliardari che hanno raggiunto l’apice con il recente scandalo della “Super League”. Crediamo sia un esempio di quanto i tifosi tengano all’identità delle loro squadre, più che coloro che sono ai vertici. Di fronte al potere e all’avidità, ci si rivolge al passato per ricordare che questi club in origine rappresentavano la propria città, il tessuto sociale, l’orgoglio per quelle origini e quel luogo, e che attraverso il tifo si creava un senso di appartenenza. È questo il cuore del rapporto tra tifoso e squadra, che non va perso e che si solidifica nella memoria. Al di là dell’abilità tecnica, delle prodezze nel segnare i goal o la consapevolezza tattica, la maggior parte dei tifosi si affeziona a un giocatore che mostra passione e dedizione per la squadra, orgoglio nell’indossare la maglia e questo si lega alla lunga storia che molte squadre in tutto il Regno Unito hanno. Oltre alla Premier League, la F.A. Cup è certamente uno dei tornei più noti e unico per come offre a squadre di campionati minori, a volte nemmeno a livello professionistico, la possibilità di giocare contro i grandi. Se poi capita anche di vincere si può stare certi che se ne parlerà sugli spalti per decenni.