“LE COSE PERDUTE DEL CALCIO”. INTERVISTA A NICOLA CALZARETTA

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Come accenni anche tu all’inizio del libro, “Le cose perdute del calcio” non dovrebbe essere visto con un occhio solo passatista. In effetti riesci in questo intento grazie anche a un humor leggero che smonta la nostalgia troppo canaglia. Come prima cosa volevo sapere proprio come hai pensato a questo sguardo sul passato, non troppo per il passato.

Ho pensato a chi non ha assaporato certe emozioni e atmosfere che hanno caratterizzato il mondo del pallone di una quarantina di anni fa, quello che ho avuto la fortuna di vivere, vedere e respirare. E siccome mi è piaciuto tanto e tanto mi ha fatto sognare, ho pensato di poterlo raccontare per condividerlo con i più giovani. E, en passant, approfittare di questo viaggio della memoria per ripercorrere alcuni tratti della grande storia del calcio, magari sconosciuti ai ventenni di oggi: dall’introduzione dei numeri sulle maglie alle sostituzioni, tanto per dirne due.

C’è una sola “cosa” che secondo te i ragazzi tifosi di calcio oggi dovrebbero volere del passato, senza poterla avere?

Il tempo di poter coltivare la memoria, di far sedimentare il ricordo. Oggi non gli è concesso. Tutto deve essere fast. Siamo al McDonald’s del pallone, un frullatore continuo di partite ovviamente tutte marchiate come ultime spiagge, sfide definitive, ad alto contenuto spettacolare, ci mancherebbe. L’attesa non esiste più, neppure quella minima che abbiamo vissuto noi, di non sapere il risultato del primo tempo, questo perché fino al 1977 “Tutto il calcio” copriva solo la ripresa. C’era anche un pizzico di crudeltà in tutto ciò, va detto, ma quando accendevi la radio, il cuore ti batteva forte e oggi quello che ti ricordi è proprio quel tambureggiamento nel petto, ancora prima del “parziale dopo i primi quarantacinque minuti”.


Amiamo le cose del passato (calcistico in questo caso) perché è sempre più bella l’erba del tempo andato o perché pensiamo a un nostro passato particolare e ne smussiamo le brutture?

C’è la nostra fanciullezza e giovinezza a colorare con il personale arcobaleno dei ricordi le cose del passato e dare loro delle sfumature suggestive. É inevitabile. E magari capita che anche il particolare negativo, venga visto con la lente dell’indulgenza. Se è vero tutto questo, è anche vero che certe realtà degli anni Settanta e Ottanta abbiano suscitato scosse emozionali di livello assoluto e soprattutto abbiano dato più volte la sensazione della raggiungibilità del calciatore, anche quello dei livelli altissimi. Dal mazzo tiro fuori due istantanee: la passeggiata quotidiana dei giocatori della Juventus dal “Comunale” dove si spogliavano al “Combi” dove si allenavano. La partita di Maradona ad Acerra. Stop.

Ma sul serio, perché non ci sono più le maniche lunghe?

Per i portieri, nel libro la ricostruzione è fedele alla storia. Dal visionario Spalazzi a Gigi Buffon che ha operato i tagli, passando per Pagliuca. Per comodità, per sentirsi più liberi, per volare meglio? Può darsi. Per tutti gli altri, buio totale. Una delle tante scelte di marketing, ai miei occhi, prive di senso e logica, visto che poi i giocatori (portieri compresi) sotto la divisa indossano sempre sottomaglie con maniche che arrivano fino al polso. Quindi?

Una domanda a cui non saprei mai rispondere. Secondo te il calcio del passato era meno globalizzato di questo? C’erano più particolarità cultural/territoriali?

Al livello italiano secondo me si. Il campionato era il massimo delle competizioni. Lo scudetto veniva di gran lunga prima delle Coppe, il salto di qualità lo abbiamo iniziato a fare con il ritorno degli stranieri nel 1980. Poi pensa alle tante realtà provinciali che hanno caratterizzato il nostro calcio a partire dalla Spal di Mazza, il Pisa di Anconetani, l’Ascoli di Rozzi, ma anche l’Avellino di Sibilia e il Partenio. Tanti dei calciatori che ho intervistato mi hanno raccontato dei timori a giocare in quel campo al tempo dei vari Di Somma, Giovannone e Cattaneo.

Volevo poi sapere la cosa più orribile che il calcio del passato ha per fortuna perso.

Vorrei poter dire la violenza, ma poi purtroppo morti ce ne sono stati anche in epoche successive e molto recenti. Credo che certe pratiche mediche e farmaceutiche in voga in quei periodi, siano oggi superate. Dal lato dei calciatori, la firma contestuale e la legge sullo svincolo ha reso giustizia a un rapporto contrattuale sbilanciatissimo a favore dei presidenti e delle società. Certo, questo a lungo andare ha aperto la strada ai procuratori, ma di questo ne riparleremo tra vent’anni.

Prima il calcio era quasi sempre un evento. Oggi non si riesce a eventizzare nulla, perché ogni due giorni c’è un “partitone” e non ce la si fa proprio semanticamente. Così però la noia piano piano monta, ci invade e va a finire che ci sfondiamo di Netflix (almeno per adesso). Domanda impossibile per chiudere: che ricetta hai per tornare alla forza passionale con cui seguivamo il calcio degli anni ’70-’80-‘90?

Andare a vedere le partite del calcio amatoriale. Già quelle dei settori giovanili potrebbero lasciare in bocca il sapore amaro della delusione con allenatori (?) già schiavi del 4-3-3 e bambini con scarpette coloratissime e senza lacci, che esultano scimmiottando CR7.