GULLIT ERA BASQUIAT (ricordo per i 60 anni di Ruud)

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Gullit mi ricorda istintivamente Basquiat, facendo il verso a Battiato, anche perché c’è dell’altro oltre alle cose evidenti di cui tutti si accorgono (le treccine ad esempio).
In tutto il Basquiat delle tele, dei cartoni e delle cartoline (il Samo© dei muri si lega meno al calciatore olandese) c’è lo stesso lessico scarno, asciutto tanto da essere orripilante (non tanto che fa paura, ma come qualcosa che smuove, che eccita) che Gullit metteva in campo appena arrivato in Italia. Erano entrambi zaffate insostenibili di energia destabilizzante per chi guardava.
Nonostante Ruud Gullit venisse dalla scuola con il più alto magistero tattico del tempo, quella olandese degli anni ’70, mescolava tutto quello che aveva appreso e lo rendeva ruvidamente concreto, lo traduceva in una miscela calcistica primitiva. L’occhio alla buona capiva la tracotanza fisica, quello ammaestrato l’eleganza tecnica su un motore selvaggio che la scuola olandese stava creando con la nuova generazione di calciatori post-Cruijff.
Nei quadri di Basquiat si ritrova lo stesso genio selvatico, anch’esso stracolmo di meraviglia tecnica e rimandi artistici, urbani, stilistici.
In entrambi domina un’armonia ritmica mai doma, che quasi scappa dalla tela e dal televisore (o da qualsiasi schermo oggi), il loro modo di dipingere e giocare era infatti trasgressione pura, dal latino transgredi “oltrepassare”, composto da trans “oltre” e gradi “camminare”. Gullit e Basquiat ancora oggi vengono verso di noi, facendo rumore.