Che futuro vedete per i Paesi del Golfo? Le loro visioni coincideranno e per questo motivo su quei determinati ambiti andranno a confliggere, oppure vedete interessi differenti fra i diversi attori e quindi anche la possibilità in qualche modo di essere sinergici?
Di sicuro c’è un forte spirito di emulazione e competitività interna, come dimostra la bandierina piazzata a Newcastle dall’Arabia Saudita sulla Premier League, che fa seguito al Manchester City emiratino, al Psg qatariota e a un possibile maggior protagonismo del Bahrain. Le stesse Vision 2030 si pongono traguardi simili, ma in quest’area ognuno corre per sé, per i propri interessi e non tutto può essere omologato. Per esempio, rispetto agli altri Stati, l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman si deve porre le questione del consenso interno, approntando sempre di più una strategia politica per conquistare l’approvazione della fascia più giovane della popolazione – ossia il 60% dei sauditi su circa 30 milioni di abitanti – affamata di progresso, nuove mode, eventi sportivi e social media.
I Mondiali del futuro devono essere per prima cosa economicamente sostenibili per pochissimi, per cui vedremo sempre più Qatar 2022? Oppure si possono immaginare manifestazioni sostenibili anche con tetti e limiti di spesa?
Vedremo innanzitutto Mondiali con 48 squadre, organizzati da più Paesi insieme. Sarà così nel 2026 e molto probabilmente anche nel 2030, visto che le tre candidature ufficiali al momento sono tutte congiunte. I Mondiali a 48 squadre richiedono un numero maggiore di impianti, motivo per il quale crediamo sia difficile che si ripeta quanto avverrà in Qatar tra qualche settimana, con tutti gli stadi concentrati in un raggio di 70 chilometri. Ne abbiamo avuto un assaggio anche con Euro 2020: ricorderai senz’altro che le partite del girone dell’Italia si disputavano tra Roma e a Baku. Quello delle infrastrutture è di fatto il principale criterio che la Fifa prende in considerazione al momento della valutazione della candidatura: stadi nuovi, capienti e all’avanguardia pesano molto di più al momento della valutazione tecnica della candidatura rispetto alla parte commerciale, che comprende anche i costi di organizzazione. È verosimile che vedremo più candidature congiunte tra federazioni di continenti diversi come nel caso di Arabia Saudita, Egitto e Grecia per il Mondiale 2030.

Come sono visti oggi questi Paesi con l’avvento della crisi del gas? In particolare il nostro orto: un Paese con una capacità estrattiva di gas come il Qatar, che ruolo avrà nei rapporti con l’Europa?
La Coppa del Mondo di calcio storicamente richiama visite itineranti da parte di capi di stato, primi ministri e personalità di spicco da ogni parte del pianeta. Il Mondiale sarà l’occasione per discutere e intavolare nuovi discorsi anche dal punto di vista geopolitico e finanziario. Il Qatar parte già da una posizione avvantaggiata, grazie a risorse derivanti dal gas naturale liquefatto che sono due volte superiori a quelle della gigantesca Russia. Si tratta di una miniera d’oro che non è nel mirino dei grandi movimenti climatici, come invece sta accadendo alla vicina Arabia Saudita con il petrolio. L’Italia in Qatar non ci sarà, ma dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ha stretto i legami con Doha come testimonia l’accordo fatto da Eni per il metano liquefatto da rigassificare e sostenere di conseguenza la produzione italiana di energia elettrica.
Di tutto quello che avete scritto, chi e quanto se ne parlerà durante la manifestazione?
Come per altre grandi manifestazioni contestate in passato, il rischio è che tutto vada in secondo piano un attimo dopo il fischio d’inizio del torneo, trascinando l’attenzione globale sul piano unicamente sportivo. Di quello che abbiamo scritto ci aspettiamo che se ne parli tanto soprattutto nelle settimane antecedenti l’inizio del torneo. Non a caso negli ultimi giorni è tornato alla ribalta il famigerato pranzo all’Eliseo con Sarkozy; sono stati accesi diversi riflettori sul Psg qatariota e sul ruolo di Nasser Al-Khelaïfi; la Danimarca ha annunciato le proprie maglie di denuncia per ricordare i lavoratori migranti deceduti ed è scoppiato il caso Iran, che noi non trattiamo nel libro ma che vive una situazione molto simile ai Paesi del Golfo in tema di diritti umani e interessi geopolitici.

Perché il Qatar ha puntato forte su PSG e Ligue 1?
Il campionato francese non offriva e non offre la visibilità della Premier League, anche se la città di Parigi è un grandissimo palcoscenico. Negli anni sono state portate avanti iniziative legate al mondo della moda e dello spettacolo che hanno permesso al Psg di crescere molto in termini di immagine, pensiamo all’associazione con il brand Jordan, ma più in generale allo streetwear – è recente la partnership con Clown Skateboards per esempio (a proposito: sarà contento Banksy?). Cosa abbia indotto il Qatar a comprarsi un club però non è facilmente spiegabile con gli strumenti che abbiamo al momento a disposizione. Il recente scoop di Mediapart aggiunge ulteriori elementi che si collegano a quel famoso pranzo all’Eliseo – alla presenza di Sarkozy, dell’allora principe ereditario Tamim Bin Hamad Al Thani e di Michel Platini – a due settimane dalla votazione per il Mondiale nel novembre 2010. Nel libro proviamo a ricostruire quei giorni e le conseguenze. Limitiamoci, per il momento, a dire che associare il proprio brand ai volti di Messi, Mbappé e Neymar è un investimento che dal punto di vista dell’immagine può anche aver pagato.
In questi anni il Qatar ha battuto strade molto diverse: acquisto campioni anziani, naturalizzazioni selvagge, QSI per aggredire i mercati esteri, Aspire Academy. Quale tra queste, o magari una ancora nuova, sarà la strada che il Qatar intraprenderà in futuro?
Non tutte le strade intraprese hanno portato dei risultati, sia in termini economici che strettamente sportivi. Alcune strategie, come nel caso del brand di abbigliamento sportivo Burrda Sport – lanciato e dopo qualche anno misteriosamente ritirato -, non risultano del tutto chiare anche a distanza di parecchio tempo. Forse si sta aprendo un nuovo fronte, dopo che il QSI ha acquistato una quota di minoranza dello Sporting Braga. Questo ci può far ipotizzare che anche il Qatar voglia creare una piramide di club sulla falsariga del progetto del City Football Group emiratino o di Red Bull. La sensazione è che l’interesse sia quello di rimanere dentro la partita, continuando a costruire buoni rapporti con le istituzioni calcistiche internazionali e i principali interlocutori del mondo del calcio, eccezion fatta per chi nutre ambizioni di Superlega.
Quale sarà il primo Stato mediorientale a organizzare le Olimpiadi (ovviamente in inverno, magari in combinata con quelle invernali in un’altra location)?
Ci aspettiamo che nel giro di dieci-quindici anni un braciere olimpico venga acceso nel Golfo Persico, a maggior ragione se pensiamo quanto stia diventando proibitivo e complesso – dal punto di vista anzitutto economico – organizzare grandi eventi sportivi per tutti gli altri stati del mondo. A inizio ottobre l’Arabia Saudita è stata scelta per ospitare i Giochi invernali asiatici nel 2029, grazie a un progetto monstre da 500 miliardi, mentre il Qatar ha messo nel mirino una possibile candidatura per i Giochi Olimpici estivi del 2036. Tamim bin Hamad al-Thani, emiro qatariota, già da tempo ha sbandierato il fatto che ‘il sogno olimpico del Paese è più vicino ora che mai’.

L’Arabia Saudita sembra essersi affacciata anche fin troppo tardi al mondo del calcio. Cosa pensate vorrà fare da qui a cinque anni?
Vuole recuperare il tempo perduto. Si darà da fare per aggiudicarsi l’organizzazione di eventi sportivi importanti, come la Coppa del Mondo 2030, la Coppa d’Asia 2027, dopo essersi già assicurata i Giochi invernali asiatici del 2029 come dicevamo. In Premier League il Newcastle è già molto più competitivo di un anno fa e non facciamo fatica a immaginare che il valore della rosa aumenterà con gli anni. La Nazionale saudita invece non vince la Coppa d’Asia dal 1996 e tutti gli sforzi saranno indirizzati verso la conquista di questo trofeo. A maggior ragione se pensiamo che i detentori sono i rivali del Qatar.
Immaginate consistenti investimenti dei Paesi del Golfo in Italia? Perché questi Stati non si sono ancora mossi in maniera così forte e decisa come in altri Paesi?
Si è parlato a più riprese dell’interesse del PIF, fondo sovrano saudita, per l’Inter. Ma la visibilità che offre un club di Premier League in questo momento storico non è paragonabile. Il calcio italiano riscuote tuttavia l’interesse di molti fondi americani che vedono potenziale per far crescere i fatturati, provando magari a costruire stadi di proprietà. Investimenti, insomma, che prevedano un ritorno economico. Se invece guardiamo all’esperienza dei cosiddetti “club-Stato”, la sensazione è che l’investimento sia legato all’immagine, alla visibilità, al branding. Nel libro abbiamo rivolto questo interrogativo a Robert Mogelnicki, analista economico dell’Arab Gulf States di Washington, che ci ha spiegato l’importanza di possedere un club nell’ottica delle pubbliche relazioni e della riconoscibilità mondiale ma è lui stesso a chiedersi quanto possa essere saggio investire le risorse statali in una squadra di calcio.
Gli USA hanno contrattaccato all’assalto arabo con i Mondiali del 2026. La Cina ormai ha abbandonato la partita?
Da un lato la Cina può vantare Pechino come prima città al mondo ad aver ospitato le Olimpiadi sia estive sia invernali; dall’altro lato è in decisa ritirata rispetto agli eventi calcistici futuri come dimostra il forfait rispetto alla Coppa d’Asia 2023, a cui ha rinunciato ufficialmente a causa del Covid-19. Coppa d’Asia che tra l’altro si giocherà l’estate prossima in Qatar e che per il 2027 potrebbe disputarsi in Arabia Saudita. Tornando alla Cina, quell’obiettivo annunciato cinque anni fa – di aspirare a vincere il primo Mondiale di calcio entro il 2050 – sembra riposto ormai in un cassetto. Inoltre la netta ritirata imposta da Xi Jinping sugli investimenti all’estero e sul campionato nazionale rappresenta l’ennesima cartina tornasole di una decisa inversione di tendenza.
Se davvero i Paesi del Golfo vogliono “comprarsi” il calcio, cosa pensate ne vorranno fare?
In parte lo hanno già fatto. I due calciatori che più ci esaltano in questo momento, coloro i quali sono destinati a dividersi i prossimi Palloni d’Oro da qui a un po’ di anni, e parliamo di Mbappé e Haaland, appartengono a due di questi club. Di recente Klopp si è lamentato del fatto che esistono tre club “che finanziariamente possono fare quello che vogliono”. Motivo per cui crediamo che clamorosi e ulteriori stravolgimenti non ne vogliano: soprattutto il Psg, dunque il Qatar, si è speso per mantenere lo status quo opponendosi alla Superlega. Ci sarà da vedere se chi si oppone con forza ai “club-Stato”, dunque la triade Perez-Laporta-Agnelli, avrà la forza di offrire uno scenario alternativo convincente rispetto a quello attuale. In generale sembrerebbe che l’intero sistema non si trovi troppo a disagio con questi nuovi equilibri, vedendo ad esempio con quale disinvoltura la Premier League abbia sostenuto di aver “ricevuto assicurazioni legalmente vincolanti che il Regno dell’Arabia Saudita non controllerà il Newcastle” malgrado il presidente del PIF sia il principe ereditario e primo ministro del Regno”.