LA DIFFERENZA FRA L’ITALIA E LA SPAGNA

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Gli anni ’80 in Europa sono stati anni di calcio molto identitari, le innovazioni nordeuropee hanno continuato a svilupparsi in quell’aerea, mentre il calcio latino ha perpetrato la sua specifica identità. Se prendiamo il calcio italiano e quello spagnolo era molto ben definito e chiaro nei valori di base e questi venivano espressi in maniera evidente sia dalle Nazionali che dalle squadre di club (al netto di piccole varianti portate dai tre stranieri a disposizione).
Poi a fine anni ’80-inizio ’90 noi abbiamo avuto Arrigo Sacchi che ha imposto un nuovo tipo di calcio, controculturale per quel che ci riguardava (già il solo correre in avanti in fase di non possesso palla, rispetto al correre all’indietro era per noi eresia totale). Ha vinto con il Milan, che era un progetto globale non solo tecnico, è andato in Nazionale e ha portato la squadra all’argento mondiale.
Non so se ricordate il casino che si faceva intorno a Sacchi e al suo gioco già quando dominava nel mondo e in maniera ancora più roboante nel momento in cui è diventato ct dell’Italia. La critica e il tifo si sono spaccati letteralmente in due, con i sacchiani e gli antisacchiani a scannarsi quotidianamente anche di fronte ai risultati del tecnico di Fusignano.
Quando Sacchi esce da Euro 1996 nel girone delle due finaliste per un turnover troppo spinto nella seconda partita e sfortuna nella terza, viene praticamente giubilato e al suo posto cosa scegliamo? UN ALLENATORE CHE GIOCA CON IL LIBERO!
Lo scrivo in maiuscolo perché deve essere chiara la sterzata di 180° che decidiamo di dare al nostro calcio. In Nazionale scegliamo di tornare indietro di 30 anni, nei club il sacchismo si stempera e diventa da una parte difesa a tre, ovvero a cinque, dall’altra nel cuore del gioco mettiamo due mediani puri (abbiamo giocato Giappone-Corea 2002 con Zanetti-Tommasi a centrocampo). L’ultimo sacchiano vero rimasto, Carlo Ancelotti, sviluppa l’idea di Mazzone del Pirlo regista e vinciamo Germania 2006.
La Spagna a inizio anni Duemila era come noi a fine anni ’80. Un’identità calcistica chiara e poche idee. Nel 2008 sulla panchina del Barcellona arriva Guardiola e cambia tutto.
Gioco posizionale, tecnica eccelsa, possesso palla, riaggressioni e tutto quello che sappiamo e che vediamo anche oggi nelle squadre di club e in Nazionale.
La fonte del sacchismo e dal guardiolismo è la stessa, il calcio olandese, ma è davanti agli occhi di tutti oggi la differenza.
Anche in Spagna intorno a Guardiola si è creata una forte discussione ma il sistema lo ha compreso e non ha cercato subito anticorpi (anche politici). Lo ha studiato, compreso e ha deciso di farne lo strato delle fondamenta del suo calcio. Mentre il calcio spagnolo fino al Duemila era furia, aggressività, forza di volontà, classe in alcuni uomini, a volte mollezza e difficoltà nel trovare attaccanti finalizzatori, oggi è quello che Guardiola ha pensato diffondendosi ovunque. Dal Real Oviedo in Segundona alla Nazionale tutti partono da quei principi.
Questo ha creato un gioco sempre più affinato e raffinato, calciatori costruiti intorno a quell’idea e che quindi sanno sempre cosa fare in ogni momento della partita, allenatori che, mettendoci del loro, sanno anche migliorare il livello di base.
Tutto questo per dire cosa? Noi la nostra rivoluzione l’abbiamo abbattuta, aprendo gli “anni del terrore” con il libero in Nazionale, i tre difensori e i mediani nella costruzione del gioco, la Spagna si è lasciata cambiare dalla sua rivoluzione, ne ha fatto un tratto di sistema e oggi domina.