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Di fronte all’arte (con quattro a) di Beccantini ci si toglie cappello e capelli, rimanendo alle intemperie con quel poco di cervello scosso e ancora inebriato dalle ritmiche incessanti e travolgenti del suo ultimo periodo. Che parli di Juve, l’argomento che più lo spassa e più lo sbriglia, o di temporali estivi, la classe di quelle falangi così musicali ci porta dove loro decidono.
Juve ti amo lo stesso non è un semplice inno da bancarella né un apologia per la “cestinazione” sopraggiunta dei tempi andati e non è nemmeno un inventario catastale di sentimenti patiti, è un gioco di ritmo e di timbriche foniche prima di tutto, un balletto di ricordi che sovvengono senza la pesantezza del passato e un ricettario di opinioni mai per la bocca buona e sempre con la schiena intirizzita dalla voglia di intervenire per esserci nelle vicende, non soltanto apparire.
Beccantini per periodare e stile è un patrimonio della letteratura italiana. In un’era di sincopato paratattismo, le sue frasi hanno la capacità di far appassionare il lettore di Proust e l’apostolo del televideo, lo studioso di Marx e l’adolescente che corre dietro Ammanniti.
Beccantini per profondità di analisi è un pregio per il giornalismo italiano. In un’era di “copiaincollaggio” scientifico, ha la capacità di infiltrarsi oltre la pelle siliconata delle notizie e tirarne fuori il midollo.
Beccantini per acutezza di commento è una risorsa indispensabile come contraltare delle nostre impressioni annoiate. Chi segue i suoi articoli e i suoi interventi comprende che si può ancora parlare e scrivere mentre si pensa.