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Volevo segnalare questo libro molto interessante, dal titolo, francamente, geniale.
Piùche sprecare parole su questa tastiera macchiata, lascio la parola a chi lo sa fare molto meglio di me.
Prefazione di Darwin Pastorin
Il calcio è letteratura. Camus; Arpino Soldati; Brera Galeano Marias; Pasolini Montalban Soriano; Hornby Valdano. Ecco una formazione ideale di scrittori che hanno dedicato romanzi, racconti, poesie al pallone. Abbiamo, addirittura, un campione vero, Jorge Valdano: ieri mundial nell’86 in Messico con l’Argentina, al fianco di Diego Armando Maradona (uno dei più grandi poeti del Novecento), e oggi narratore intelligente, ironico e disincantato. Il genere calcistico-letterario imperversa nelle librerie, fa “tendenza” e il fenomeno sembra destinato a durare a lungo. Ma, a mio avviso, mancano le novità, le voci nuove, il libro capace di sorprenderti. E’ facile, piuttosto, trovare il “già letto”; oppure quella stanca biografia, quella scontata autobiografia, quella novella tirata giù senza passione, mero esercizio di stile (ma quale stile?).
Ero pronto a rassegnarmi ai tempi e alle mode, in attesa di un miracolo. Di una lettura, di nuovo, capace di sorprendermi. Ed eccola arrivare. Grazie agli autori del “Collettivo Lobanowski” e al loro folgorante lavoro: “Juve o Milan? Meglio il Foggia”. La storia di un fenomeno calcistico (il Foggia di Zeman, soprattutto, e poi la gloria e la caduta e la rinascita di una gloriosa società) diventa lo spunto per un romanzo di ricordi, di ribellioni, di fughe da fermo; dove il calcio ritorna ad essere espediente letterario, “momento” politico e sociale, e la stagione del pallone si trasforma, come per una improvvisa rovesciata, nella stagione della vita. Con, in sottofondo, una splendida colonna sonora.
Certo, la scrittura risente della lezione di Nick Hornby: ma gli allievi sono promossi a pieni voti. Non solo allenatori, giocatori, partite vinte e partite perse, televisioni private, gol e autogol: il libro è attraversato dal vento della giovinezza, della precarietà, i dribbling si confondono con gli amori, i colpi di testa con le amicizie, Foggia diventa la città-simbolo, di un modo di essere e di pensare, non solo di giocare.
Mi sono divertito, pagina dopo pagina. Di un divertimento puro: per le peripezie degli autori, tra una partita e l’altra, tra una trasferta e l’altra, per quell’incessante andirivieni di umori, passioni, sensazioni. Per quella fitta ragnatela di nomi, di riferimenti, di canzoni, di luoghi. La vicenda calcistica del Foggia diventa epica, epopea, mito, diario quotidiano, con Zeman amato e criticato, santo e presuntuoso: un personaggio presente anche quando è assente; un personaggio che, ancora adesso, fa discutere, divide: con le sue accuse, le sue prese di posizione, il suo voler stare sempre e comunque sulle barricate.
Gli autori del “Collettivo Lobanowski”, insomma, ci riportano al bel leggere di calcio. Con una prosa incalzante, dove, una riga dopo l’altra possiamo trovare un centrocampista, un presidente americano, un famoso telecronista, una cantante alla moda, una ragazza dagli occhi belli, un compagno di banco. Ci voleva, almeno per me, questa boccata di aria pura e nuova. Ci voleva un romanzo così. Ci voleva, per davvero. E in certe sere di mezza luna, confortato dal miagolare dei gatti, leggerò alcune parti del libro all’amico che mi sta sempre al fianco, a quell’argentino capace di mettere insieme Stanlio e Ollio, Obdulio Varela e il figlio di Butch Cassidy: al mio Osvaldo Soriano.
Dopo questa prefazione: siamo tutti foggiani, almeno un po’.