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Con la nuova filosofia del consumo degli anni ’80 e la fine del regimi comunisti, lo sport ha acquisito una nuova dimensione, che è quella mediatica, primo passo per le prospettive globali dello sport contemporaneo. In questi anni, gli sport della tradizione si sono evoluti e trasformati, diventando quello che sono oggi: competizioni organizzate secondo un regolamento che esalta la prestazione fisica degli atleti. Prendiamo Vancouver 2010 e il biathlon come esempio: sport dalle ascendenze millenarie (Virgilio parla di caccia sugli sci nel 40 a.C.), dalla fine dell’’800 iniziano a svolgersi le prime gare che contemplano lo sci di fondo e il tiro al bersaglio con fucile. Da allora, il biathlon è diventato lo sport dell’Europa del Nord (scandinavo e russo in primis) e dagli anni ’90 ha invaso la Germania, con le gare trasmesse in diretta e seguite da un grande numero di appassionati. Oggi il biathlon ha ancora le sue caratteristiche ormai secolari. Poco o nulla è cambiato e in Italia, in USA e in tante altre nazioni, il biathlon è uno sport secondario, che non va in tv e da una sensazione di vecchiotto nonostante l’affascinante Magdalena Neuner.
Sempre più lontani da questi sport storici, si stanno creando una loro identità gli sport globali, basati su una nuova concezione dello sport, intesa come serie di performance individuali regolate da pochi principi di base, che danno grande attenzione alla sfida, al challenge, dove a vincere non è per forza di cose il miglior atleta per tecnica e forza, ma chi riesce a superare l’altro in quella contesa particolare. Detta così sono evidenti i plus di maggiore spettacolarità di questi sport: maggiori emozioni, nessuna gerarchia consolidata, poca o nulla tradizione che ha fatto sistema, creazione del personaggio-atleta, competizioni semplici da comprendere e molto ‘easy’ dal punto di vista della fruizione televisiva.
Per sviluppare meglio il concetto, mettiamo in comparazione biathlon e snowboard cross in quest’edizione olimpica. Nella 10 km sprint maschile di biathlon, a vincere è stato Vincent Jay, francese, davanti al norvegese Emil Hegle Svendsen e al croato Jakov Fak (sorpresa non pronosticata). Tra i primi 20 ci sono 5 russi ed ex-russi, 9 mitteleuropei, 3 scandinavi. Nella prova di snowboard cross maschile, ai quarti sono arrivati 6 nordamericani, 3 mitteleuropei, 3 dell’Europa latina, 1 russo e 1 australiano. Solo da questi numeri, senza tirare in ballo la storia olimpica di questi sport, è chiara l’estensione “globale” di sport come lo snowboard cross, perfettamente televisivo (i migliori sono nordamericani, dove lo sport è in buona parte show, e per restare a noi, Rai Sport ha trasmesso tutte le run della gara maschile e femminile, mentre il biathlon abbiamo dovuto acchiapparlo su Sky Olimpia 3, perché Sky Olimpia 1 era occupata dallo… snowboard cross), di alto ritmo, godibile anche senza conoscenze pregresse delle regole, con pochi sviluppi intricati, anzi molto lineare nella comprensione.
Questi i principi basilari per offrire uno sport televisivo che possa interessare il non competente. La strada intrapresa dal CIO è sostenere questo tipo di discipline, inserendole con grande anticipo sui tempi di attesa nell’agone olimpico, e tenere per le “nicchie” ancora forti ed esigenti gli sport storici nazionali. È figlia di questo compromesso l’inflazione delle discipline alle Olimpiadi soprattutto estive. Da una parte occhio alla commercializzazione di nuovi spettacoli sempre più appassionanti, dall’altra logiche geo-politiche per tenere buoni i grandi elettori. Ma non possiamo arrivare ad Olimpiadi con 200 discipline, per cui una linea dovrebbe essere scelta. A meno di non far durare i Giochi due mesi, con venti canali televisivi a disposizione.