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Lo sproloquio non è segno di insanità mentale ma è la giusta premessa a quello che ho capito guardando Italia-Costa d’Avorio. Siamo una squadra vecchia nelle idee, non erano gli uomini ad appesantire il gioco, ma come pensiamo di dover giocare al calcio in questo momento storico che ci impaluda e non ci mostra un bel futuro. Siamo una squadra antiquata perché l’unica ad alto livello che gioca ancora con ruoli e posizioni, mentre tutte le altre si schierano in campo per zone di competenza e attraverso movimenti di scambio, mai stabili e molto imprevedibili. Siamo una nazionale antiquata perché il campionato italiano non sa imporre una squadra nuova, davvero europea (l’Inter campione è per me figlia di uno spirito di gruppo fuori dal comune, una sorta di Termopili vittoriosa). E questo affossamento delle idee tattiche e del livello di calcio lo si nota soprattutto nelle altre nazionali, i cui calciatori giocano o hanno giocato in massa nella nostra serie A. Brasile, Argentina e squadre slave, nostri bacini preferiti di acquisto, hanno giocato un Mondiale pessimo dal punto di vista tattico, anche avendo Argentina e Brasile i calciatori migliori del mondo in molti ruoli (il paragone Piqué-Puyol con quello Lucio-Juan è una bestemmia, come anche l’accostamento Snejider-Van Persie-Kuyt con Messi-Tevez-Higuain). I calciatori che giocano in Italia ricoprono ancora ruoli quasi fissi, non soltanto nei compiti da svolgere, ma soprattutto nella limitatezza tecnica richiestagli. Ieri sera tutto questo è stato lampante.