Le illuminazioni vere, quelle che ti fanno comprendere un fenomeno arrivano sempre con qualche tempo di ritardo, credo che sia umano, tirare le fila di un evento mentre si svolge o appena terminato è da fessi o geni. E spesso le redini di un discorso di qualsiasi genere si tirano grazie ad un evento collaterale, che niente ha a che fare con il fenomeno in sé.
Lo sproloquio non è segno di insanità mentale ma è la giusta premessa a quello che ho capito guardando Italia-Costa d’Avorio. Siamo una squadra vecchia nelle idee, non erano gli uomini ad appesantire il gioco, ma come pensiamo di dover giocare al calcio in questo momento storico che ci impaluda e non ci mostra un bel futuro. Siamo una squadra antiquata perché l’unica ad alto livello che gioca ancora con ruoli e posizioni, mentre tutte le altre si schierano in campo per zone di competenza e attraverso movimenti di scambio, mai stabili e molto imprevedibili. Siamo una nazionale antiquata perché il campionato italiano non sa imporre una squadra nuova, davvero europea (l’Inter campione è per me figlia di uno spirito di gruppo fuori dal comune, una sorta di Termopili vittoriosa). E questo affossamento delle idee tattiche e del livello di calcio lo si nota soprattutto nelle altre nazionali, i cui calciatori giocano o hanno giocato in massa nella nostra serie A. Brasile, Argentina e squadre slave, nostri bacini preferiti di acquisto, hanno giocato un Mondiale pessimo dal punto di vista tattico, anche avendo Argentina e Brasile i calciatori migliori del mondo in molti ruoli (il paragone Piqué-Puyol con quello Lucio-Juan è una bestemmia, come anche l’accostamento Snejider-Van Persie-Kuyt con Messi-Tevez-Higuain). I calciatori che giocano in Italia ricoprono ancora ruoli quasi fissi, non soltanto nei compiti da svolgere, ma soprattutto nella limitatezza tecnica richiestagli. Ieri sera tutto questo è stato lampante.
E’ come essere tornati alla fine degli anni ’50 o all’inizio dei ’60. I migliori giocatori in circolazione stanno in Italia, ma la nazionale non funziona. Non ci sono da vedere tattiche o moduli. Basta riguardare il passato. E’ che tutti i ruoli chiave nelle squadre italiane di grande levatura sono occupati da stranieri. Chi si prende la responsabilità nei momenti cruciali delle partite sono solo ed esclusivamente gli stranieri. Finito Pirlo, e non manca molto, nessuno potrà stazionare efficacemente dal cerchio di centrocampo fino alla trequarti. I mondiali l’hanno spiegato bene e Prandelli non può fare nulla. Il tema dei Grandi Esclusi è solo un escamotage da bambinelli. Quanto vale Cassano l’ha dimostrato la sua esperienza al Real, perchè Bari e Samp non sono banchi di prova credibili. Balotelli ha delle doti e talento, ma non ha molta zucca. Per essere decisivo bisognerebbe avesse tanto talento quanto Maradona, che non aveva zucca neppure lui, ma per quanto riguarda estro ne aveva il doppio di Mario Kempes. Balotelli ne ha così tanto? Perchè sennò il ragazzo o raddrizza il carattere o è un calciatore finito già a 19 anni. Ma il mondo del calcio attuale può essere scuola di vita? Purtroppo se Cassano e Balotelli sono le uniche boe di salvataggio, la nazionale è davvero deceduta. Per cui, o si curano i vivai e gli stranieri lasciano il posto ai giovani di talento, o piangeremo molto a lungo, perchè Pirlo non potrà giocare a altissimo livello per molto tempo ancora. Sulle filosofie di mercato è sufficiente un esempio. Il fatto che si peschino persino i portieri all’estero spiega moltissime cose. La scuola italiana dei portieri è la migliore al mondo e riusciamo anche a mettere tra i pali comunitari e extra-comunitari. Le norme sulla libera circolazione impediscono l’ostracismo sui comunitari, pertanto devono essere i presidenti a fare una scelta “autarchica”, che potrebbe salvare il calcio italiano e anche, in seconda battuta, i bilanci delle squadre italiane. Ma ho come la sensazione che non siano così tanto illuminati. Nè che cerchino il pomello dell’accensione.
MARCO BALLESTRACCI