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Mentre prima erano lo stadio per il calcio, la strada per il ciclismo, i palazzetti per il basket, la piscina per il nuoto ad essere i campi delle imprese, oggi questi luoghi sono la cassa di risonanza “obbligatoria” di storie di uomini, che vivono fuori da quello spazio e a volte sono in evidenza per qualcosa che non lo considera.
Il passaggio dal dribbling di Maradona alla testata di Zidane non è soltanto il viaggio verso un calcio diverso, ma un modo di intendere lo sport in relazione alla massa totalmente differente.
Prima lo sport viveva di gesti, oggi di parole, in una frase ecco spiegato il semplicissimo arcano.
Partendo da questa premessa, il libro di Lesay cerca di tirare fuori dal calcio l’ultimo barlume di bello sportivo che riusciamo ancora a raccattare in giro, lanciando più di uno sguardo invece al passato, dove tutto questo accadeva in modo costante. Le facce del tragico vanno dai gol di Sindelar dopo l’Anschluss alla Honved smembrata, dalla goccia di Zagabria ai ripensamenti dei Rangers. Le storie più belle sono quelle del recente passato sportivo, in cui l’autore fa emergere alcune figure rilucenti (Robin Friday), misteriose (Yuri Gazzaev) e assurde (Gheddafi, il figlio calciatore).
Leggete il libro non solo per le storie ma per capire come non serve solo il tempo per creare un mito.