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Il processo completo spesso ce lo raccontiamo, con nostalgico imbarazzo.
Davide Golin, nel suo “Pablito Mon amour” edito da NoReply Edizioni racconta questa piccola-grande storia che ci accomuna, noi mortali che sogniamo l’immortalità della fama.
Essendo così diffuse, di storie come queste sono piene gli scaffali, ma Golin, grazie alla sua leggerezza vissuta e non immaginata, riesce a dire qualcosa di nuovo. Non so se volutamente, ma lo stille, i richiami al mondo giovanile del periodo e soprattutto il ritmo narrativo della storia personale che si confonde con quella pubblica, richiama tantissimo un libro che del genere potremmo dire ormai (a loro insaputa, magari) è un riferimento, “Juve, Inter, Milan? Meglio il Foggia”, del collettivo Lobanovski, da poco riedito con grande arguzia da Bradipolibri.
Come il libro del collettivo foggiano, i rimbalzi della storia tra Golin e Paolo Rossi parlano di molte cose: un luogo che viene scoperto, insieme ad una nazione, una realtà che viene vissuta, senza le remore da videogioco di cui oggi i ragazzini sono pieni, una storia d’amore vera e propria, perché pensare e palpitare per qualcuno/qualcosa è amore, per fortuna.
Una cosa che Golin sa fare perfettamente è usare i sentimenti. Non si abbandona all’ode dei tempi passati, quando i giovani “incanalavano il loro furore verso il meglio”, ma parla della sua storia con gli occhi di oggi, di quello che è diventato e siamo diventati, senza dirci in continuazione: “Eh prima… era tutta un’altra cosa”.
Quello che lui ha vissuto con Paolo Rossi lo sta vivendo qualcuno oggi per Pato e Cavani, e la faccia da neonato di Pablito rispetto a quelle robotizzate degli altri due non sottintende per forza un sentimento più vero e puro.
Da leggere e ricordare i passi della storia personale trafitti da stralci di interviste e articoli, un bel modo per mischiare saggio e romanzo, senza far disperdere il filo narrativo.