Questo Europeo di atletica leggera ha detto poche cose. I riferimenti delle specialità sono lontani dalla Vecchia Europa. La velocità è caraibica, il mezzofondo nordafricano, il fondo è sugli altipiani, nei salti se la giocano un po’ tutti. Sempre e, da come si è messa, non per sempre, restano i lanci. Ma anche qui manca una protagonista, l’orco che da sempre ha creato atleti efficienti e imbattibili quando era il momento di mettere insieme forza ed elasticità: l’ex Unione Sovietica. Le gare di lancio del disco e del peso hanno visto i sovietici sempre in seconda fila rispetto alle bombarde americane, tiranni di queste due discipline per decenni e qualche sorpresa di una delle due Germanie. Dove invece la vecchia URSS ha imposto la sua legge e sviluppato una scuola perfetta è stato per le specialità del lancio del giavellotto e del martello. Se ci atteniamo solo alle gare olimpiche, troviamo scritti nell’albo d’oro nomi mitici dell’atletica leggera: Viktor Tsybulenko, terzo e apripista a Melbourne 56 dei grandi giavellottisti sovietici, oro a Roma ’60, imitato negli otto anni successivi da Janis Lusis, bronzo a Tokyo, oro a Città del Messico e argento a Monaco, oltre a quattro Europei. Dopo anni un po’ appannati, la specialità del giavellotto è stata poi rispolverata da atleti ottimi come Makarov e il lettone Ainars Kovlas, argento a Pechino solo 2 anni fa.
Se il giavellotto è stata specialità preferita dai sovietici, il martello era il loro cortile dove nessuno metteva il naso. Basti pensare che da Montreal 76 fino a Barcellona 92 (con la parentesi losangelina boicottata), il podio olimpico è stato integralmente conquistato da atleti sovietici e della Comunità degli Stati Indipendenti. Atleti come Jurij Sjedich, ucraino e capace di vincere l’oro a Montreal 76 come ai Mondiali di Tokyo nel 1991, quando l’intera atletica era diventata un’altra cosa, Sergey Litvinov, due volte mondiale e oro a Seoul, battendo proprio il grande Sjedich, fino ad arrivare ai nomi nuovi come quelli della scuola bielorussa che prende il via con Igor Astapkovich. Insomma una vera dittatura, figlia delle scuole che puntavano molto su queste gare di forza e agilità comparate e della capacità fisica degli atleti sovietici di sopportare allenamenti davvero durissimi.
Se guardiamo le gare di Barcellona 2010 troviamo, per il giavellotto, una grande gara tra il norvegese Torkildsen e il tedesco De Zordo, appena staccato il finlandese Pitkamaki, mentre tutti gli altri navigavano nella mediocrità più nera, a partire da Sergej Makarov, penna bianca campione mondiale nel 2003. Per il martello, il piccolo bielorusso Sviatkokha ha trovato un lancio finale che ha messo in difficoltà Vizzoni, capace arrivare all’argento e di far scendere al quarto posto Sviatokha. Ma se togliamo il lancio fortunato del bielorusso, della vecchia-nuova scuola sovietica-bielorussa non troviamo nessun degno rappresentate. Tra i partecipanti ai concorsi di lancio, non abbiamo visto in generale grandi atleti e in particolare quelli della vecchia URSS sono i più anziani e i meno di futuribili. La fine di una tradizione o solo un momento dovuto al cambio generazionale?