La vecchia e piccola ala

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Questo mese Quasi rete ci ha chiesto di ricordare le ali. Il mio pezzo nel ricordo del minimo Perani.

Se dici ala pensi in piccolo. Prima era un bene, sgusciare e tenere punte di velocità massima per pochi secondi erano i ferri del mestiere. Oggi invece l’ala piccola è uno strano gusto per il vintage, così demodé da sembrare cafone. Lunedì ho stretto la mano a Nedved e ho preso paura al solo pensiero di corrergli vicino (ed è fuori attività da un po’). Normodotato ma con una membrana di muscoli e nervi che facevano male alla sola visione. Da Nedved in su, ormai le ali sono altro e fanno altro, ma la nostalgia per il gusto del piccolo ogni tanto torna in mente, insieme ad un calciatore che ne era il prototipo: Marino Perani.
Già il solo nome metteva tenerezza, con quel diminutivo così delicato. Visto in volto sulle figurine, la tenerezza si decuplicava: viso ovale e pienotto, da orsacchiotto con cui andare a letto, orecchie appena visibili, occhi tondi e un po’ abbacchiati, capelli neri sulla strada del canuto, boccuccia stretta mai sorridente. Più che un uomo un peluche.
Vederlo poi in spezzoni di gioco è l’apoteosi dell’ala classica: attese, difesa nulla, palla ricevuta da Bulgarelli, scatto da fermo, velocità massima sprigionata nel breve, cross morbido, piedino sofisticato solo quando serviva. La vera ala poi non sapeva fare gol, scagliava palle ignoranti verso la rete, senza la voglia di andare in rete. Rivedere i primi 10 minuti di Italia-Corea del Nord con le 3 vaccate di Perani per capire.

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