La Nazionale di rappresentanza

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In Italia c’è un vuoto di rappresentanza mai visto. E questo fa molto strano se pensiamo che per un anno abbiamo parlato di nazione come non lo si faceva dal 1961.
Nel corso di questi 150 anni molte figure ed istituzioni hanno guidato l’atteggiamento etico e rappresentato i valori della nazione, a partire dal re, passando per intellettuali, governi, presidenti della Repubblica.
Grazie ad una rabdomantica analisi sociologica fatta alla svelta, oggi l’unica istituzione che ha assunto credito ed ha imposto valori accomunanti è la nazionale italiana di calcio (qualcuno potrebbe dire: Come siamo caduti in basso!).
Guidato dalla propria statura morale e, credo, anche da indicazioni corrette degli uffici marketing della FIGC, Cesare Prandelli è diventato una voce da ascoltare nella melma morale in cui sguazziamo. Prandelli e la Nazionale hanno lavorato sodo, imponendo scelte drastiche come il codice etico interno (in Italia un codice etico rispettato non si era mai visto), seguendo scie dal grande impatto mediatico, come l’appoggio a don Luigi Ciotti (l’allenamento della nazionale a Rizziconi sul campo sequestrato alla ndrangheta ha avuto un’eco fantastica da un punto di vista promozionale), facendo scelte che rischiarano la confusione in cui il pallone naviga (la convocazione-premio di Farina del Gubbio sottolinea che c’è un calcio pulito, fondamentale controindicazione per contrastare la voglia di “buttarla in vacca” che è prassi per gli italiani quando s’incasinano. Chi di noi, dopo l’ennesimo scandalo scommesse, non ha detto: “Da oggi seguo solo la scherma”).
Personalmente sono molto felice che il calcio riesca a creare un’atmosfera civile in cui rispetto e doveri sono i principi guida.
Un solo appunto: spero che tutto regga dopo gli Europei, quando gli italiani guarderanno al calcio giocato e più che al campo di Rizziconi avranno in mente quello di Kiev.

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