L’accoppiata Torromeo-Esposito, con I pugni degli Eroi, sapevo già dalla prima di copertina che avrebbe aperto tante finestre. E così è stato.
Il pugilato, l’ho ripetuto tante volte, è lo sport “epicamente corretto”, con tutte le caratteristiche per diventare narrazione assoluta sull’uomo, la natura, Dio, la Storia.
Non ci sono temi magni raccontati dai grandi scrittori che non ritroviamo nei grandi pugili e nei loro più importanti incontri.
C’è la natura che vince la razionalità di Tyson e Monzon, la costruzione dell’Uomo-Monumento con Dempsey e Joe Louis, l’identità “razziale” dei portoricani, panamensi, messicani nati e cresciuti guerrieri da sempre, e su tutto ci sono storie di uomini che hanno vissuto più vite in una sola.
Dai bellissimi tratteggi dei più grandi campioni della boxe mondiale fatti da Dario Torromeo e Franco Esposito, emerge una condizione esistenziale del pugile molto fragile e completamente in balìa di forze oscure e sconosciute.
Tanti (direi quasi tutti) dei migliori pugili della storia hanno conosciuto la droga, l’alcol, la sofferenza, la depressione, la sconfitta vera, la morte.
Un velo nero ricopre le loro vite e le porta o le ha portato a spasso verso le direzioni più ignobili e cattive. Il pugile come macchia nera dell’umanità. Quello che a noi non è concesso, loro lo hanno provato e vissuto in dosi massicce.
In passato molto mi sembrava costruito ad hoc, per far vendere più biglietti. Dopo i racconti del libro ne so di più e so che per diventare di quel livello il pugile deve mettere in gioco la vita, tutti i giorni. Una cosa davvero difficile da sopportare. Chi ci riesce diventa mito e allo stesso tempo anima vagabonda.