Dall’America si torna nuovi. Me l’ha detto un amico e posso testimoniare. Quando stai lì, le parole sull’America diventano finalmente più chiare, ti rendi conto meglio delle tante cose dette sul loro mondo.
Dal punto di vista sportivo, in una settimana newyorchese ho visto molto perché la città ama mostrare l’olimpicità multirazziale degli abitanti.
Sono stato a The Cage, dove vedi fisici che nemmeno l’NBA.
Che bello sapere che dei bimbi fanno: “Mamma esco, vado a giocare ad hockey”.
La logica del campetto è molto più oratoriale rispetto alla nostra. Noi imitiamo (andiamo al calcetto e ci vestiamo come se dovessimo prepararci per la Champions League), loro personalizzano. Prendono uno spazio e cercano di farlo loro il più possibile con gesti fisici e tecnici molto naturali.
Espn domina. Ma se le immagini degli eventi sono importanti, fondamentali sono gli analisti che discutono degli eventi tutta la settimana e sanno tenerti attaccato al televisore. Lo fanno anche i nostri opinionisti calcistici?
Doposcuola
Bici in Central Park. 1h 30min netti con fermate multiple.
Giocare a Football sui prati. Un grande classico.
Abbondano i Paranoid Park sotto i ponti.
Devo fare un sunto o meglio lancio un’intuizione. Rispetto alla nostra idea di sport, in USA piace e conta meno il talento che la determinazione, che porta con sé un progetto di fisicità quasi esasperato. Alle spalle di questo focus prettamente individuale c’è poi un’elaborazione maniacale di strategie collettive. Grandi atleti e grandi strateghi. Non piace il grande campione che vive di solo talento.
Anche per questo il calcio non ha sfondato.