La squadra perfetta di Giancarlo Dotto

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Di fronte al libro di Giancarlo Dotto “La squadra perfetta” il critico prende un paio di giorni di riposo assoluto e alimenta le riflessioni a base di capretto. La domanda più pressante che questo striminzito critico si fa in questi giorni di passione è: “Ma le parole usate da Dotto per descrivere una squadra di calcio sono effettivamente denotanti, nel senso le dobbiamo prendere per realmente pensate dall’autore, oppure fanno parte di un gioco fumoso di connotazioni varie a cui l’autore ci vuole indirizzare per poi scappare via, ovvero sono tutte parole che giocano su bilanciamenti metaforici che vanno dall’iperbole, all’eufemismo, dalla metonimia irridente alla sineddoche cervellotica?”
Mi spiego meglio: il Dotto quando usa parole come perfezione, mitologia, unico, forte, mondo, genio lo fa in senso autoevidente, cioè dando a quelle parole il significato puro e semplice che esse hanno per la collettività, oppure è tutto un giro vorticoso di sensi ulteriori che ci parlano sorridendo nel tentativo di impressionarci.
Se quelle parole sono così come le leggiamo, allora Dotto è un anacoreta del razionale, ha ormai abbandonato da tempo i lidi dove si misurano le cose e spara cazzate in aria per ascoltare il rimbombo della ricaduta. E questo libro diventa un Vangelo per stupidi.
Se invece quelle parole sono l’altra faccia di una mitografia da giornale aziendale, allora Dotto rientra nelle fila di chi sa e dice magari velando solo un po’. E questo libro diventa una macchietta fuori luogo.
La squadra di Sacchi è stata una squadra che ha effettivamente portato in Italia un tipo di calcio geometrico e fatto di ritmi veloci, ma non era l’unico esempio a quel tempo (Benfica di Eriksson in primis) e non era una novità (il Feyernoord di Happel del ’70 vinse giocando con fraseggi sostenuti e movimenti senza palla la Coppa dei Campioni).
Ha partecipato a tre Coppe dei Campioni consecutive sporcando di molto il gioco “sacchiano” nelle partite davvero toste contro Stella Rossa, Malines, Bayern Monaco, Benfica e Olympique Marsiglia.
Ha vinto un campionato per differenza fisica più che tattica.
Ha vinto due Coppe Intercontinentali contro squadre sgasate. E il Medellin avrebbe anche meritato la vittoria.
Ha vissuto molto sulla forza tecnica dei singoli, tutti grandi calciatori e adatti a ricoprire diversi ruoli.
Dotto fa di questa squadra una lode che non sappiamo fin quanto filtrata da doveri aziendali.
Allora un tifoso del Bayern Monaco della squadra degli anni ’70 che dovrebbe scrivere?

13 risposte a “La squadra perfetta di Giancarlo Dotto”

  1. Io direi che quella squadra di Sacchi non era perfetta e non era la più forte del mondo, ma in Italia è stata sicuramente rivoluzionaria. Per venire incontro a te che non mi sembri un “sacchiano”, possiamo dire che l’impatto rivoluzionario di quel Milan è stato ingigantito dal conservatorismo del calcio italiano.

    MisterSil

  2. Hai ragione, in un certo senso la differenza ha segnato l’esaltazione fatta del sacchismo.

    Io non odio il sacchismo, ma i sacchifei, ovvero coloro che credono che il sacchismo sia un parto improvviso di una creatura mai nata prima di allora.

    Se il sacchismo è una metodologia di perfezionamento di un tipo di gioco già visto a partire almeno dalla fine degli anni ’60, potrei definirmi quasi sacchiano.

    Se invece lo adoriamo come l’ideologia del calcio nuovo (che si inserisce in una mitografia all’insegna delle novità che hanno “sconvolto” l’Italia tra gli ’80 e i ’90: nuova politica, nuova impresa, nuova comunicazione, ecc. ecc.), allora divento uno che si rompe di sentire ancora parlare di perfezione.

    Non so che ne pensi.

  3. Nella vita sono allergico a qualsiasi tipo di ideologia… figuriamoci nel calcio. In ogni caso il “sacchismo” è figlio del “calcio totale” olandese degli anni ’70, che in effetti fu una rivoluzione, almeno ai miei occhi di ragazzo. Ma certo non la prima. Anche l’avvento del “metodo”, o del “catenaccio” di breriana memoria furono delle svolte ai loro tempi. Ergo, è sempre bene relativizzare le cose e non dimenticare mai che sempre di pallone si sta parlando.

    Ciao ciao
    MisterSil

  4. @MisterSil: Ovviamente quando uso certe parole, sono già relative in se stesse. Non c’è chiaramente bisogno di sottolinearlo.

    Per quanto riguarda il tuo discorso sul sacchismo, hai detto proprio quello che penso.

    Diventare sacerdoti dell’unicità delle applicazioni sacchiane parte da un falso storico. Questo lo dicono in pochi, zittiti.

  5. @ivan, mi sembra che quello che ci divide, si fa per dire, si la tua visione di un Paese dove il “sacchismo” impera. A me non pare, anzi. Sacchi era inviso ai più anche nella sua fase di maggiore successo, un po’ per conservatorismo, un po’ per ragioni di tifo, un po’ per ragioni extracalcistiche, un po’
    per il suo modo di fare da invasato. Poi passata la fase acuta, mentre mi sembra che Sacchi si sia per così dire umanizzato, diventando più simpatico, i detrattori del “sacchismo” sono rimasti sempre molti. In ogni caso la maggioranza.

    Have a nice day
    MisterSil

  6. @MisterSil: io invece credo che i sacchiani siano tanti proprio perché hanno tanti critici. Sai, il gusto della differenza, a cui accennavi anche tu in un commento precedente.

    Parlavo di sacchismo integrale riferendomi al libro di Dotto soprattutto. Se è un elogio del sacchismo, il libro diventa una barzelletta, questo era soprattutto il punto.

  7. Caro Jvan, innanzitutto BRAVO! Il tuo blog é uno dei pochi che vale la pena memorizzare per leggere i post, bellissimi.

    Sul tema del post non posso dire di avere letto il libro di Dotto ma ho vissuto sulla mia pelle di tifoso il Milan di Sacchi.

    Ogni epoca ha avuto una squadra che diede un impulso in avanti al giuoco del calcio.

    La mia memoria storica parte dal Real Madrid di Di Stefano che si emancipò un po’ dal “modulo” con quel Gento che faceva da centravanti tattico, poi arrivò l’Ajax di Crujff, la squadra che cambiò completamente il calcio professionistico, e poi arrivò il Milan di Sacchi.

    Se questi tre squadroni vengono ricordati dai più come precursori o innovatori ritengo che sia dovuto al fatto che tutte e tre vinsero molto (l’ajax un po’meno rispetto alle altre) e che tutte e tre avevano in organico i migliori interpreti del calcio giocato di quel momento.

    Il milan di sacchi aveva per 5/11 i migliori al mondo di quel momento (Baresi, Maldini, Van Basten, Gullit, Rijkjard) e gli altri 6 erano fra i primi. Sacchi ebbe invece caparbietà e fortuna, molta fortuna.

    Ti racconto un aneddoto: il primo anno, sacchi al milan era sul procinto di essere esonerato dopo due mesi.

    I giocatori (Baresi in primis) lo detestavano, lo ritenevano (probabilmente a ragione) un maniaco ossessivo che pensava e parlava solo di tattica; il milan quell’anno venne buttato fuori dalla coppa uefa dall’espanol, era novembre, mercoledì sera. La domenica successiva si giocava a roma e il pelato di Fusignano aveva le valigie pronte. Ebbe un confronto con baresi in albergo a roma la sera prima…si chiarirono anche se non so nello specifico cosa si dissero…la domenica il milan vinse a roma con virdis mettendo gli attaccanti capitolini in fuorigioco 12 volte! Il milan quell’anno vinse lo scudetto….poi tutto il resto 😉

    In conclusione Sacchi ritengo sia stato più antipatico come uomo che bravo come allenatore anche se é indubbio che quel milan sia stato il più forte organico degli anni 80/90.

    Di sacchi mi rimarrà sempre una frase dopo la prima finale di C. dei Campioni (Steaua – Milan 0-3 – 1989)….”nel calcio, come nella vita, ci vuole occhio, pazienza e….bus del cul”

    Onorato di averti letto. A presto.
    Toninho 8

  8. Ti ringrazio davvero tanto Toninho 8. Queste parole sono uno stimolo enorme per continuare e “spremermi” ancora di più.

    Le tue riflessioni sull’era Sacchi sono molto giuste. Niente da dire. Inoltre hai dato informazioni interessanti per chi legge il commento.

    Devo dire la verità, sul libro di Dotto questi aneddoti ci sono e sono la parte più “SFIZIOSA” del libro. Almeno non si va pericolosamente verso il monumentalismo.

    Per quanto mi riguarda, Sacchi non mi è antipatico. Dice cose interessanti sul calcio italiano e sulla dimensione speculativa del nostro approccio al gioco, che in parte condivido. A me stanno antipatici i sacchini, coloro che credono che le parole del vate siano diventate verbo in calcio. E tutti lo sanno che non è stato così.

    Anche quella frase è riportata nel libro di Dotto, e dice parecchie cose sul fatto che anche Sacchi, alla fine di tutto, credeva poco nel sacchismo.

    Scriviamoci presto.

    Ah, sarei molto felice se leggessi il mio libro: L’Europa nel pallone, che è adesso in libreria, e mi dicessi cosa ne pensi. Per me è importante.

    Ti ringrazio ancora.

    Ciao.

  9. Sei uno di quei palesi cretini che hanno sostituito il sano stantuffo della verga con l’onanismo della parola. Hai deciso che il libro doveva corrispondere alla tua fobia sacchiana, ti era necessario per autocelebrarti, in assenza di celebratori altri, e ovviamente non hai capito un cazzo, ammesso che tu sia in grado d’intercettare qualcosa che non siano i fumi del tuo cervello che fanno la pace solo con se stessi e se stesso. Avendoci posato due chiappe solo un po’ meno obese, avresti capito che il libro in questione esalta quel milan, a dispetto dell’altro cretino, quello che stava in panchina.

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