Per aprire la settimana, vorrei riportare le parole di Don Marco Pozza, lette “Sulla strada di Emmaus”. L’intervento è molto più lungo e vi consiglio di leggerlo qui, e a me ha favorevolmente interessato il discorso sull’ascesi e sul gesto atletico come metafora del desiderium naturale videndi Deum.
Pure il corpo chiede applicazione e pratica per essere valorizzato e vissuto in modo positivo: non sarà difficile leggere dietro una sana passione per il proprio corpo un rispetto anche per l’anima che lo abita. In questo senso lo sport – e il gesto che ne è l’esplicitazione esteriore – possono essere letti come una forma ascetica, seppur senza religione. Anche un neofita dell’esercizio sportivo s’addentra ben presto nella frequentazione di termini che richiamano il sudore e la caparbia ricerca del meglio da conquistare: passione, applicazione, metodo, stile, fantasia, caparbietà, aspirazione, sogno, costanza, emozione, sacrificio. L’animo dell’atleta viaggia vicinissimo a quelle frequenze che fecero di gente dalla biografia comune grandi santi additati dalla chiesa: la sfida, il limite, l’oltre, l’ardire, il confine, il record. Il santo e l’atleta – pur partendo da posizioni diverse e partecipando ad aspirazioni diverse – tengono la convinzione che l’uomo sia proprio così: sempre oltre, sempre in stato di parto, sempre cacciatore lanciato all’inseguimento di una preda.
L’esperienza che invade e conquista l’animo di un giovane che s’addentra nelle cattedrali dello sport ha qualcosa che rinvia al concetto stesso del rapimento, dell’estraneazione, dell’estasi, della perdita e del ritrovamento di sé: termini che non sono per nulla estranei alla teologia cattolica e alla spiritualità che si tramanda di generazione in generazione. Dal momento che l’ascetica sportiva e quella religiosa tendono a ritrovarsi sotto il medesimo traguardo: quello di mettere l’uomo nudo di fronte a se stesso e spingerlo verso il bene massimo di cui è capace nel tentativo di accenderlo. Scrive Roger Bannister:
“Possiamo giocare a guardie e ladri con la realtà, senza mai affrontare le verità che ci riguardano. Nello sport ciò è impossibile. Con il suo confuso alternarsi di fallimento e di successo, lo sport ci scuote alle radici, ci spinge verso le più straordinarie scoperte su noi stessi, mette a nudo i nostri limiti e le nostre capacità”.
… La teologia medievale parlando dell’uomo ha tramandato la splendida affermazione del desiderium naturale videndi Deum: la convinta e convincente scommessa dell’incontro possibile tra Creatore e creatura. E’ lo Spirito che – muovendo il cuore e aprendo gli occhi della mente – permette a Dio di attrarre l’uomo alla comunione con Lui infondendo un dinamismo nuovo; la grazia opera dall’interno e orienta i desideri dell’uomo. La predicazione aggiungerà il “di più” operando dall’esterno. D’altronde già Agostino era del parere che nessuno può insegnare alcunché ad altri perché «in interiore homine habitat veritas»: ragione per cui il possibile è solamente quello di far risuonare dall’esterno dei segni che destino la persona alla ricerca della pienezza.