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Questa premessa per dire che approfondire e analizzare la situazione sudafricana, dove tra qualche settimana partiranno i Mondiali, è molto difficile. Il Sudafrica fino a 20 anni fa era un posto dove l’uomo dava il peggio di sé, dove il concetto di amore non esisteva, dove si sceglieva per razza, un sistema che nemmeno Hitler era riuscito a definire nei dettagli. Una parte di questa storia impossibile solo a pensarci è raccontata nel libro “Molto più di un gioco” di Chuck Korr e Marvin Close edito dalla Iacobelli Edizioni.
Storico Korr, drammaturgo Close, compiono per questo libro un lavoro storiografico di grande livello, riuscendo a far coesistere perfettamente pochi documenti ufficiali, quasi nessun documento di approfondimento degli avvenimenti (c’è una sola foto che narra di quell’esperienza), molti documenti privati e semiprivati complicati da decifrare e le testimonianze di chi ha vissuto a Robben Island.
Il libro descrive il campionato organizzato dai detenuti di Robben Island all’interno del carcere di massima sicurezza costruito sull’isola di fronte a Città del Capo. È una storia straordinaria soprattutto per i personaggi che la popolano, capaci di non perdere la dignità in un posto dove l’idea stessa di dignità umana era volutamente messa in discussione e di sopravvivere alla morte in terra grazie alla voglia di giocare al pallone; quale spot miglior per il Mondiale che sta per arrivare? Il libro non lascia spazio alla confusione, non si vuole rimestare il bene e il male e discolpare tutti per buona condotta. Il calcio a Robben Island non fu un atto di generosità, ma la prima vittoria di una volontà superiore, capace di reggere l’urto durante gli anni della cattiveria, e di uscire fuori, ancora salda e determinata, quando la Storia ha cambiato il senso.
Il calcio a Robben Island fu un atto politico di valore inestimabile, attraverso il quale un pezzo di popolo si rese conto dell’importanza del partecipare democratico. Tutto questo in un ambiente totalmente contrario, e non parlo solo del carcere ma della società civile sudafricana in generale, all’estensione del concetto di uomo per le persone di colore, un’ideologia vecchia di 400 anni che ha creato il più grande dramma della storia dell’uomo.
Torniamo alla domanda iniziale. Che Sudafrica sarà dopo? Un Paese diverso, questo è certo, che creerà collegamenti con il mondo basati su altre prospettive, una nazione capace di progredire partendo proprio dalla popolazione di colore, uno stato capace di definire un paradigma per tutti gli altri stati africani. Il Sudafrica, per tanti anni isolato e antiquato, può diventare l’apripista di un nuovo assetto mondiale, in cui l’Africa inizierà finalmente a contare.