Cosa è stato il Napoli di Maradona? Prima di tutto oggi è diventato un brand auto-referenziato. Mi/vi spiego. Esistono prodotti fisici e dell’immaginario collettivo: una sedia Kartell, la storia del Titanic e una squadra di calcio, il Napoli.
Ad un certo punto nella percorso valoriale di questi oggetti, un plus-valore di senso cambia la consapevolezza che abbiamo del prodotto, ampliandola e di sicuro trasformandola.
Starck disegna una sedia Kartell che diventa in breve tempo una sedia d’arte e non più un prodotto di plastica dura mediamente costoso.
James Cameron gira un film sulla tragedia del Titanic e per tutti il viaggio di quella nave ha iniziato a voler dire molto altro.
Ad un certo punto in una squadra di calcio di medio-basso cabotaggio per la storia del calcio internazionale gioca il miglior giocatore al mondo (di sempre?) e ne cambia le prospettive, oltre che la storia.
Da quel momento il Napoli di Maradona diventa un prodotto ben specifico del nostro immaginario, auto-referenziato appunto, cioè senza il bisogna di pregressi o discorsi sul futuro della sqaudra, legato a doppia mandata alla vita e alla storia della persona che ne ha cambiato completamente il senso.
Un po’ di semantica da bar per dire che il titolo del libro di Garanzini e Bellinazzo è centrato non soltanto per quel che riguarda il tema e lo sviluppo, giornalisticamente perfetto grazie all’incrocio mai banale di cronaca, aneddotistica e lavoro di fino sui protagonisti, ma anche per il titolo (quanto sono importanti lo sa solo ISBN, non è vero anche altri), perfetto marchio a questo punto insuperabile (perché in pieno focus semantico) per qualsiasi altro libro sul tema.
A proposito. Ma tra venti anni scriveremo il Barcellona di Messi?
