“LA GRAMMATICA DEL BIANCO”. INTERVISTA AD ANGELO CAROTENUTO

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Il tuo libro è un romanzo di formazione e come nei migliori romanzi del genere, il protagonista ha davanti a sé due estremi da seguire per la sua formazione verso l’età adulta. Tu hai scelto Borg e McEnroe. Questa è una lettura che può avere un senso?

Sì, “La grammatica del bianco” gioca proprio con le regole del romanzo di formazione, secondo le quali il protagonista si mette in cammino per cercare qualcosa, finendo poi per trovare qualcos’altro.
Controvoglia si trova su un campo da tennis e gli appaiono due figure di adulto molto diverse fra loro: Borg, placato e lucido, McEnroe: luciferino, irascibile, istintivo. Warren, il bambino protagonista, si trova davanti a loro e finirà per chiedersi: “Ma io da adulto voglio essere un Borg o un McEnroe?”.

Il protagonista, Warren, in Borg e McEnroe cerca e trova anche qualcosa che vorrebbe cercare e trovare in un padre?

Non credo che Warren all’inizio guardi quella partita perché cerca in Borg o McEnroe qualcosa del padre. Lui sta cercando più che altro un legame artificiale con il padre naturale, ma alla fine viene via da Wimbledon con degli strumenti per proseguire la sua vita con questo grande vuoto che porta dentro.

Nel 1980 avevi 14 anni. Hai visto o vissuto in qualche altro modo quella partita? Se sì, ha in parte detto qualcosa anche all’Angelo ragazzo del 1980?

Sì, ho visto quella partita e per me quella partita si gioca a Scauri, dove molte famiglie napoletane andavano non in vacanza o in ferie, perché all’epoca si andava in villeggiatura. La villeggiatura era una specie di trasferimento in un altro luogo della vita che si conduceva in città in inverno. Ho visto quella partita perché mio padre, da vero alchimista d’Egitto, riuscì a farmela vedere. Il segnale della televisione era molto debole e lui iniziò ad armeggiare con il filo dell’antenna, attaccandolo a una padella, facendola così diventare una sorta di amplificatore. Grazie a quella padella ho visto quella partita e a seguire anche le Olimpiadi di Mosca.

I momenti sportivi che si vivono a 14 anni sono i più ricchi di senso per la formazione di una persona (sportomane). Io, per esempio, sogno ancora spesso USA ‘94. Quanto e come pensi a quel match storico al centro della tua opera?

Non so se i momenti di sport che vivi a quell’età ti segnano in qualche maniera. Forse sono solo ricostruzioni abusive e artificiali che facciamo dopo. Ci rimangono però impresse, ricordo eventi sportivi di quel tempo molto meglio rispetto a cose avvenute appena dieci anni fa. So tutto del Mondiale di Spagna e faccio fatica a ricordare i Mondiali del 2006, ad esempio, di quelle partite “spagnole” ricordo dov’ero e tanti altri dettagli. Ma in fondo è un classico ingigantire il senso delle cose che viviamo da adolescenti, nell’età del non più e del non ancora, quando credi che tutto sia decisivo per te e per la tua formazione, Tutto diventa terribilmente intenso perché l’adolescenza è come un pallone tirato a canestro, ancora sospeso in volo, e non sai se prende il ferro o va dentro.

Mi piace davvero tanto la tua capacità di riempire il racconto di fatti storici e di cronaca legati a Wimbledon, così la narrazione diventa piena di finestre su un mondo, quello del tennis ma ancor di più su quel torneo così speciale. Nella logica di sviluppo dell’opera, sei partito dalla volontà di raccontare la storia di Warren per poi creare degli anfratti in cui riposarsi, oppure il fiume è Wimbledon e la storia del ragazzo doveva scorrere parallela?

A me piacciono le storie in cui le vicende di personaggi pubblici si mescolano alle vicende di personaggi inventati. L’ho fatto anche con “Le canaglie” e “Viva il Lupo” e anche questo rientra nel canone del romanzo di formazione. Alcuni studiosi dicono che nella mescolanza tra personaggi reali e di finzione, quelli reali si abbassano verso la vita dei personaggi comuni, mentre altri pensano che siano i personaggi comuni a innalzarsi al livello dei personaggi della grande Storia. A me piaceva la seconda idea, per cui un raccattapalle poteva innalzare la sua vita all’altezza della vita di Borg e McEnroe, fino a farli diventare strumento di una sua nuova consapevolezza.

Sono un po’ in fissa con Chomsky. Il termine grammatica del titolo potrebbe richiamare quella facoltà universale della cognizione umana del filosofo americano? In questo caso Wimbledon con i suoi principi, le sue regole, i suoi appuntamenti mostra a Warren cosa sia l’età adulta, un’età scandita e forse meno libera (oltre che uguale per tutti)?

Warren si trova davanti alla grammatica del bianco perché è ossessionato dalla capacità di definire tutto con attenzione e in questo vi rientrano anche i colori. Ė affascinato dal bianco perché è un colore che li contiene tutti e ha un suo rigore, un suo ordine che lui va cercando. Questo è però il Warren che entra nello stadio di Wimbledon, ma da lì esce un Warren cambiato che conosce le regole della grammatica, ma è ormai pronto a disfarle.
Wimbledon aiuta a tirare fuori da Warren qualcosa che era innato dentro di lui, in questo senso il richiamo alla Grammatica universale di Chomsky ci può stare. Wimbledon inoltre gli fa capire che la grammatica va conosciuta per essere violata. Warren capisce che se il tennis è uno sport che si fonda sugli errori e sulle scelte a volte estreme, allora tutti coloro che cercano di indirizzarmi e mi chiedono di non sbagliare, diventano un rumore di fondo, perché la vita è fatta soprattutto di errori che commettiamo.
Inoltre il tennis ha codificato la seconda possibilità, come nella vita, quando si sbaglia il servizio. E questo non succede in nessun altro sport.

Hai scelto (secondo me) quel Borg-McEnroe per la grandezza della partita e per la differenza estrema dei due atleti. C’è stato un altro evento sportivo in cui si sono sfidati dei mondi di senso così contrapposti (almeno nell’immagine pubblico-sportiva)?

Il tennis si presta molto alla contrapposizione di stili e caratteri, come succedeva anche per Federer e Nadal. Allontanandosi dal tennis, un momento molto forte di quegli anni è la contrapposizione tra Villeneuve e Lauda, altri grandi campioni dei miei 15-16 anni, che guardavo e ammiravo anche nella loro contrapposizione di stile e probabilmente di carattere.
Nel calcio Maradona-Platini è un’altra opposizione possibile, in questo caso soprattutto nell’atteggiamento nei confronti del potere.

Noti nelle evoluzioni future di Sinner e Alcaraz la possibilità di una distanza semiotica tale da richiamare almeno in parte la sfida di cui parli nel libro?

Il tennis oggi è molto diverso rispetto a quello di quaranta anni fa, le differenze sono solo nelle sfumature. Sinner e Alcaraz non sono uguali ma non sono distanti come lo erano Borg e McEnroe. Alcaraz ha una cassetta degli attrezzi più completa di quella di Sinner, che però ne ha preso consapevolezza e sta arricchendo il gioco di nuove soluzioni. Nadal quando arriva sulla scena passa per un brutale primitivo, colpitore di palline da contrapporre all’eleganza di Federer e siamo sempre a Dioniso e Apollo. Ogni anno poi Nadal ha aggiunto un colpo nuovo al suo bagaglio, a dimostrazione che chi vuole crescere e migliorare può sempre trovare la strada per farlo e chi non si migliora viene presto sorpassato.