Questo fatto, sicuramente tirato fuori da una valutazione assolutamente empirica e alla buona, descrive però un altro fatto che lo sport italiano dovrebbe valutare e analizzare.
La costruzione mitografica del passato calcistico italiano è fatta molto male. Un tasto su cui batto spesso è che noi rispetto agli anglofoni soprattutto, ma non solo, non sappiamo coltivare, rendere presente e futuro e infine vendere (perché poi lì si va a parare ed è corretto) il nostro passato calcistico (parlo di calcio perché più popolare da noi). Siamo un popolo di romantici del calcio, guardiamo alle nostre spalle pensando all’Eden perso, ma poi non “usiamo” il passato per creare seguito e business oggi. La comunicazione dei musei delle squadre di calcio (quando ci sono) è una goccia in un temporale estivo. Non la percepisce nessuno.
Si ha addirittura paura che mostrare troppo il proprio passato porti a ricadute negative del tipo: “Siete ancora fermi lì, mentre noi vinciamo gli scudetti”.
Vi rendete conto della follia?
Un’espressione semplicemente popolare ha invece dato vita a un enorme processo (ripeto, per fortuna anche economico) ma solo perché prima un sentire comune molto vivo e contemporaneo era stato creato dallo stesso popolo intorno a quella figura e a quel passato (cosa che abbiamo descritto nel film “Maradonapoli”).
Ecco, perché aziende di alto livello come le squadre di calcio, con un universo di testimonial dalla forza comunicativa esagerata (anche solo i calciatori di ieri e di oggi) non riescono a farlo? Non hanno capito che il passato fa vendere il presente?
Questo cosa mi appassiona molto e allora vi metto una piccola bibliografia per approfondire. Il sogno mio e di Angelo Carotenuto è fare i pezzi giornalistici con le bibliografie a corredo (nel mondo del pezzo buono dopo dieci minuti massimo è complicato, ma mai dire mai).
Bibliografia
“La promozione dei valori. Semiotica della comunicazione e dei consumi” di Pierluigi Basso Fossali (parla proprio di quella ricaduta fondamentale per tenere su tutto).
“Comunità” di Marco Aime (perché in questo caso si parla addirittura di due comunità da connettere, quella cittadina e quella calcistica).
“Metamorfosi dello sguardo. Museo e semiotica” di Santos Zunzunegui (la prima cosa bella è che il cognome dell’autore lo mette senza ombra di dubbio alla fine di ogni lista pensabile. Giusto Ulrico Zwingli può fregarlo)
“Maradonapoli” film del 2017.
Questo fatto, sicuramente tirato fuori da una valutazione assolutamente empirica e alla buona, descrive però un altro fatto che lo sport italiano dovrebbe valutare e analizzare.
La costruzione mitografica del passato calcistico italiano è fatta molto male. Un tasto su cui batto spesso è che noi rispetto agli anglofoni soprattutto, ma non solo, non sappiamo coltivare, rendere presente e futuro e infine vendere (perché poi lì si va a parare ed è corretto) il nostro passato calcistico (parlo di calcio perché più popolare da noi). Siamo un popolo di romantici del calcio, guardiamo alle nostre spalle pensando all’Eden perso, ma poi non “usiamo” il passato per creare seguito e business oggi. La comunicazione dei musei delle squadre di calcio (quando ci sono) è una goccia in un temporale estivo. Non la percepisce nessuno.
Si ha addirittura paura che mostrare troppo il proprio passato porti a ricadute negative del tipo: “Siete ancora fermi lì, mentre noi vinciamo gli scudetti”.
Vi rendete conto della follia?
Un’espressione semplicemente popolare ha invece dato vita a un enorme processo (ripeto, per fortuna anche economico) ma solo perché prima un sentire comune molto vivo e contemporaneo era stato creato dallo stesso popolo intorno a quella figura e a quel passato (cosa che abbiamo descritto nel film “Maradonapoli”).
Ecco, perché aziende di alto livello come le squadre di calcio, con un universo di testimonial dalla forza comunicativa esagerata (anche solo i calciatori di ieri e di oggi) non riescono a farlo? Non hanno capito che il passato fa vendere il presente?
Questo cosa mi appassiona molto e allora vi metto una piccola bibliografia per approfondire. Il sogno mio e di Angelo Carotenuto è fare i pezzi giornalistici con le bibliografie a corredo (nel mondo del pezzo buono dopo dieci minuti massimo è complicato, ma mai dire mai).
Bibliografia
“La promozione dei valori. Semiotica della comunicazione e dei consumi” di Pierluigi Basso Fossali (parla proprio di quella ricaduta fondamentale per tenere su tutto).
“Comunità” di Marco Aime (perché in questo caso si parla addirittura di due comunità da connettere, quella cittadina e quella calcistica).
“Metamorfosi dello sguardo. Museo e semiotica” di Santos Zunzunegui (la prima cosa bella è che il cognome dell’autore lo mette senza ombra di dubbio alla fine di ogni lista pensabile. Giusto Ulrico Zwingli può fregarlo)
“Maradonapoli” film del 2017.
Immagine presa dalla pagina Facebook di Calciatori Brutti