SENZA L’IMMAGINE-MOVIMENTO STIAMO RISCOPRENDO LA PAROLA

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C’è un primo effetto del Coronavirus sull’ecosistema mediale che riguarda lo sport. In assenza di immagini live degli eventi sta dominando la parola. Chi ce lo doveva dire.
Non devo assolutamente raccontarvi come ogni riflessione analitica sulla società e sul mondo mediale contemporaneo abbia l’immagine, tiranna, compagna di mille avventure, profanatrice intellettuale, regina, puttana, dea, come centro nevralgico di ogni seme culturale.
La progressione riviste, cinema, televisione, media digitali, social media è stata lenta se la guardiamo con gli occhi del Duemila, burrascosa se la guardiamo con le lenti novecentesche, prese in prestito da chi le indossava nei viscosi secoli precedenti.
Questo correre verso l’immagine che dà senso e riempie l’esperienza umana vale per tanti campi, anche quelli in cui era la parola a guidare ed emozionare, come la politica. Figurarsi nello sport, in cui già i giornali di inizio ‘900 avevano bisogno di condire lo scritto con la copertina e i disegni dell’evento, perché, se seguiamo il Delezue de “L’immagine-movimento. Cinema 1”, è nell’imago stessa che si estrinseca la significanza dell’atto, e la parola non può che esserne vassalla sottomessa e sempre più inascoltata e flebile.
Poi con l’imago replicante e viralizzante dei social media tutto è esploso in pezzetti piccoli. Il rullo dell’immagine in diretta si scompone in frammenti che hanno semantico valore per sé, non nel contesto di flusso da cui sono stati tagliati. Ogni gesto atletico resta per la valenza semantica che porta con sé e c’è la foresta dei meme che ci appassiona, attanaglia, soffoca e libera (libertà dal tempo che scorre soprattutto. Non ho bisogno di seguire un evento di due ore per vivere l’emozione del senso. Mi bastano i 15 secondi su Instagram e ne ho un potente rimbombo che mi può bastare).
Ecco, tutto questo il Coronavirus lo ha messo in pausa e ha fatto scoprire un vecchio/nuovo mondo, quello della parola da leggere e ascoltare.
Siamo tutto il giorno ad ascoltare e leggere, non potendo più vedere. Ripeto: ma guarda che ci doveva capitare.
Si moltiplicano le dirette social, le videochat, i numeri delle visite agli articoli dei siti stanno schizzando alle stelle. Ci resta la parola per poter vivere un tempo senza senso.
Sarebbe bello che questo restasse. Un esempio semplice. Da anni sono il paladino dell’inutilità dell’ex a commento di una partita di calcio. Nel 90% dei casi (chi ha studiato tanto è interessante) l’ex che commenta una partita di calcio dice cose noiosissime, non solo banali ma che mirano a proteggere la sua posizione, il suo status e le relazioni con gli addetti ai lavori. Sarebbe fantastico che uno dei ragazzi che fanno il giornalismo sportivo più interessante oggi parlasse ad un grande pubblico sulle reti che danno il live delle partite. Sarebbe tutto molto più interessante e coinvolgente.
Tutt’altra cosa invece se si utilizza l’ex come cassaforte emozionale. L’ex è l’unica persona che ti può spiegare cosa vuol dire da tutti i punti di vista (anche tattico se si vuole, non metto il veto) giocare una determinata partita, essere sottoposto ad un determinato tipo di pressione, è l’unico che può farti girare la testa di 180° rispetto a quello che inquadra la telecamera e portarti nella realtà dell’evento, trascinandoti fuori dal prestabilito per contratto. Basta vedere la forza e il successo che stanno avendo le dirette social dei calciatori oggi. Parlano di calcio, materia di cui sono i più competenti al mondo, ma nella prospettiva ermeneutica che loro masticano meglio, quella appunto dell’esserci stati e dell’aver provato date sensazioni. Oggi che non serve parlare di 4-4-2 o del pressing (cosa che devono continuare a fare, ma in altro modo), ti fanno esplorare il mondo dietro quella telecamera e sono di una ricchezza e di un interesse incredibile.
Sono abbastanza convinto che alla fine di tutto ci resterà questa voglia di quadridimensionare l’immagine live degli eventi sportivi, per sviscerarne il bello e il brutto anche attraverso le parole, come stiamo facendo adesso. Almeno spero.