Mi piace davvero la prospettiva da cui hai guardato alla coltellata di Amburgo. Sembra l’ennesimo colpo turbolento di un periodo di riassestamenti e dolori. Perché hai pensato di raccontare quel fatto della vita di Monica Seles (scelgo all’americana) in quel modo, inserendolo in una grande cornice?
La storia della Seles mi permetteva di incrociare uno dei periodi che più mi affascina: la caduta del muro di Berlino e la conseguente fine dell’Urss. L’attentatore di Monica proveniva dalla Turingia, ex DDR, Monica dalla ex Jugoslavia, per la precisione dalla Serbia, questi due mondi si sono scontrati fino a distruggere idee, modi di vivere e di pensare. La deflagrazione di sistemi che parevano eterni come quella del comunismo secondo me hanno bisogno di una narrazione continua. Seles è il segno di un tempo che sta cambiando in maniera drammatica, portando conseguendo incalcolabili e spesso disastrose.
Un padre artista crea una figlia così lontana da un tennis esteticamente “artistico”. Sbaglio a pensarla così?
No, per niente, lui di tennis capiva poco e niente, seguiva il figlio maggiore nei tornei prima di dedicarsi a Monica, con lei si allenava nel parcheggio sotto casa perché mancavano soldi ma soprattutto alle bambine era vietato l’accesso ai pochissimi campi da tennis presenti a Novi Sad. Io ho visto nel tennis di Monica la matita del padre, che era un disegnatore satirico, la racchetta, con quei colpi bimani su entrambi i lati, sono la dichiarazione di guerra a qualunque estetica che voglia farsi etica unica.
È Monica Seles a portare la violenza dei colpi nel tennis femminile?
No, fu Maureen Connoly, negli anni Cinquanta, che irruppe nel tennis femminile con la sua ferocia agonistica ma un grave incidente la menomò a 19 anni costringendola a ritirarsi dal tennis. Monica ha portato però il tennis verso quello che poi sarà nel Duemila, pura violenza, fatta eccezione per Mozart – Federer. Oggi, per dirti, tra le donne l’unica tennista che mi piace è la Muchova, tra i maschi Musetti anche se apprezzo molto la folle arroganza di Shelton.
Leggendo il tuo libro ho pensato questa cosa riguardo alle grida selesiane: “Non è un grido di sforzo o concentrazione, ma è pura voglia di futuro per una generazione intrappolata che per la prima volta (ad Est) vede la luce”. Tu come le interpreti?
Scusami sei mi cito, so che è cosa sgradevole, ma mi serve a far capire come per me quel periodo sia una ossessione. Nel romanzo “La consonante k”, in cui parto dalla caduta del muro di Berlino, c’è un uomo che ha il microfono fisso fuori dalla finestra, lui capisce che l’Urss è finita nel momento in cui i bisbigli diventano voci, la gente ha cominciato a parlare ad alta voce. Sì, il grido della Seles è dunque un atto di liberazione e di dolore, di esplosione e di protesta, in quegli anni però la cosa non è stata notata, io stesso lo consideravo un fastidio inutile.
Graf e Seles, in cosa sono all’opposto, in cosa simili?
Graf grandissima tennista con un colpo solo, il dritto, credo avessero qualche difficoltà in attacco, sulle palle a volo non erano proprio abili, diciamo nella mancanze erano simili, come nella determinazione, di segno opposto è il loro tennis, quello di Graf tendeva agli angoli per mettere fuori gioco l’avversaria, quello di Seles mirava a sfinire attraverso il ritmo ossessivo spesso insostenibile.
Quello di Seles era un tennis evidentemente nuovo. Quanto ha preso dagli allenatori che ha avuto e quanto è stato un suo modo di adattare il suo corpo al tennis?
Dalla scuola di Bollettieri Seles ha appreso la devozione al lavoro e al colpo che deve diventare mortale, ha imparato a non avere alcuna pietà di chi ti sta di fronte, la pietà nello sport serve solo a chi vuole perdere.

Gli anni ‘90 è stato un periodo anti-canone in tante cose? Se sì, Seles rientra nella lista?
Sì, Seles ha travolto il tennis degli anni Novanta e lo dico da ammiratore assoluto della Navratilova. Il suo tennis ha la stessa forza dei romanzi di De Lillo, ha smontato e rimontato il modo di stare sul campo spiazzando tutti.
Dagli anni ‘50 in poi lo sportivo era ammirato e al massimo criticato dagli addetti ai lavori (un esempio facile sono le riflessioni di Brera su Rivera). Il popolo di regola seguiva, tifava e amava, in pochissimi casi si schierava pro o contro. I grantoli (meraviglioso termine di Clerici) di Seles aprono i like e dislike disintermediati dai critici. La gente iniziò a scegliere di farsi piacere o non farsi piacere uno sportivo quasi senza pensarci, a pelle, come si usa dire oggi. Seles non è l’innesco di tutto ma è una prima miccia dell’incendio che poi scoppierà con i social?
Penso proprio di sì, era odiata in maniera immotivata non solo dal pubblico ma dalle sue stesse avversarie, a eccezione della Sabatini. Dopo l’attentato rimase sola, abbandonata dal suo ambiente. La cattiva meritava di stare il castigo.
È stata anche una delle prime a parlare di problemi mentali nello sport, purtroppo per lei per uno shock fortissimo. Anche in questo ci hai visto il futuro degli sportivi?
Seles è stata più di una tennista, più di qualunque altra perché è andata oltre il tennis, dichiarando la sua depressione, parlando della malattia mortale del padre, posando per la moda e per la pubblicità prima di tutte le altre.
Seguivo abbastanza il tennis della seconda metà degli anni ‘90 e non ricordo alcun accenno a un grande verità: senza la coltellata di Amburgo in quel momento Seles avrebbe vinto contro tutte. È un mio ricordo confuso o è stato tutto messo sotto il tappeto?
Io sono di quelli convinto, come Navratilova, che avrebbe vinto ogni cosa, non c’era nulla da fare contro di lei e se pensi che a 19 anni aveva già otto slam! Diciamo che tra le grandi del passato è la meno citata, rispetto per esempio a Chris Evert o a Billie Jean King, forse perché meno cool rispetto a loro. Se pensi pure che su Parche, il suo attentatore, non si è mai detto nulla, al massimo che era un fanatico, un idiota, in realtà era un inetto, un poveraccio che fece il suo primo viaggio proprio ad Amburgo per eliminare Monica così da non poter superare la sua amatissima Steffi, a cui inviava soldi e fiori! Ha cambiato la storia del tennis per sempre, è il David Chapman di cui tutti hanno solo disprezzo, se pensi poi che è morto in una clinica dopo più di venti anni di ricovero. Una vita disgraziatissima.
Cosa ha cambiato nel tennis?
Ha mostrato che il tennis femminile non è solo grazia – vedi Evert – ma etologia della ferocia.
Cosa avrebbe fatto se non fosse stata accoltellata nel 1993?
Oggi staremmo qui a parlare della più grande di tutte e lo dico da non suo tifoso.