"Un libro di sport può nascere da qualsiasi cosa". Intervista a Gabriella Greison

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Due parole con Gabriella Greison, che di letteratura sportiva respira, recensendo spesso le ultime novità su gazzetta.it. Come spesso accade, il critico diventa autore e così “Così parlò Zarate” (Limina, 18 euro, 130 pagine) e “Prossima fermata Highbury” (Scritturapura, 13 euro, 130 pagine) sono le sue ultime due fatiche letterarie.

Cosi parlò Zarate” e “Prossima fermata Highbury” hanno molti tratti in comune (prima di tutto sveltezza nel proporre il succo del discorso, cosa non da poco) e differenze nette dovute ad argomenti molto diversi (biografia per punti e momenti da una parte, ritratti di costume dall’altra). Come ti sei trovata a trattare argomenti diversi, riuscendo a mantenere un tuo stile?

Il mio stile, infatti, è proprio questo: cercare di rendere l’idea subito, senza esitare troppo in giri di parole o frasi troppe lunghe. Quindi, che sia la biografia di un campioncino in erba, o che siano 22 racconti di letteratura, fa lo stesso. In comune, oltre a questo, i due miei libri hanno anche la poesia, la spensieratezza, il voler creare a tutti i costi un’atmosfera da favola, con un misto di leggenda e fantasia, di cui i tifosi o gli appassionati di calcio (come me: perché io non sono tifosa, sono appassionata di storie, di gesti, di situazioni, che si vivono solo dentro e fuori dal rettangolo di gioco) si cibano voracemente. Insomma, la voglia di fermare alcune immagini, di fotografarle, e farle rivivere in un pezzo, in un racconto, o in più capitoli di un libro. Perché hanno fatto sognare, hanno emozionato, oppure hanno qualcosa di unico, e speciale.

In “Così parlò Zarate” c’è molta cronaca rispetto all’aneddotica. Per te la letteratura sportiva deve puntare anche sulla cronaca di eventi quasi contemporanei rispetto ai racconti epici più tradizionali?

Gli eventi contemporanei devono essere trattati con cura. Devono essere presi con delicatezza ed esposti con la giusta leggerezza. Altrimenti, diventano facilmente criticabili, o strumentalizzabili. Devono essere raccontati, esclusivamente, per esaltare il calciatore in attività, e immortalarlo. E devono, infine, aggiungere qualcosa, che già – la cronaca di tutti i giorni – non racconta. Solo in questi casi la letteratura sportiva può servire ad un fatto contemporaneo. E ci deve essere un motivo di base. Io ho scelto Zarate, seppur in erba e ancora in crescita, perché a Roma è stato l’evento, sulla bocca di tutti (laziali o romanisti), per un anno intero. Si è contrapposto a Totti (il grande Totti), lo ha sfidato. Anche inconsapevolmente. É stato il suo antagonista. I laziali non ne avevano uno da tanto tempo. Lui, Zarate, solo sul campo, senza mai aprire bocca, nel primo anno alla Lazio ha dimostrato il massimo che ci si poteva aspettare da lui. É stato, sì, più bravo di Totti, in quest’anno: parlo dell’esplosione improvvisa, dell’atletismo, della carica agonistica, in questo istante preciso (che per Zarate vale un anno reale, mentre per Totti vale come un giorno di vita: perché il romanista ha già una grande carriera alle spalle, ed è indubbiamente fortissimo, avendolo già dimostrato alla Roma e nella Nazionale). I racconti epici tradizionali poi, nella letteratura sportiva contano sempre tantissimo. E devono essere scritti a prescindere. Perché sempre validi e una gioia per gli occhi e il cervello. Ma i tempi stanno cambiando e con il nascere degli istant book (il mio, però, non è un istant book: primo perché ha partecipato attivamente Zarate; secondo, perché non racconta di una folata di vento), la letteratura sportiva tradizionale deve stare al passo. Anche se i miei maestri vengono tutti da lì, e sono insostituibili.
Così parlò Zarate è un giusto compromesso tra giornalismo e letteratura. Come hai raggiunto questo equilibrio spesso complesso?
Il fatto che io sia giornalista professionista, e non scrittrice, dice tutto. Io sono cronista, sto sull’evento, lo seguo per la Gazzetta dello Sport, ed è questo il mio obiettivo giornaliero. Quindi, quando ho deciso di scrivere il libro su Zarate, il tutto è nato da una situazione molto giornalistica: ero alla partita Lazio-Milan, appunto per la Gazzetta, e mi è capitato di incontrarlo da sola fuori dallo spogliatoio (come racconto nelle prime pagine del libro), cosa che non è mai successa a nessun altro mio collega. La situazione era particolare, ed anomala: la Lazio era in silenzio stampa, quindi nessuno avrebbe parlato dopo il match. Inoltre Zarate, per sua abitudine, e perché non gli piace parlare con i giornalisti, non esce mai dalla porte dove escono tutti gli altri. Invece, quella sera, siccome era impegnato all’antidoping è uscito tardi. Tutte le altre porte erano chiuse e doveva per forza passare dall’uscita principale; esattamente dove mi trovavo io. Gli ho parlato dell’idea che avevo in testa per un libro e lui si è dimostrato subito entusiasta: era felice come un bambino! E così, abbiamo pensato insieme come strutturarlo. Lui mi ha chiesto dei capitoli ben precisi, e io ho eseguito. Si è anche dimostrato molto simpatico e ben disposto al gioco: infatti, la parte con il gioco del “se fosse” l’ha molto apprezzata.

Un libro di sport deve partire da notizie di prima mano, dall’idea narrativa o dalle poche informazioni sul tema?
Un libro di sport può partire da qualsiasi cosa. Da una foto, da un concetto, da un tema, dalla vita di calciatore, da una partita, da un fischio dell’arbitro non dato, da un fischio dell’arbitro di troppo, da una squadra, da una società, dai tifosi, da un altro libro, da una frase, dal passato, dal presente, o dal futuro.
Tu recensisci spesso i libri di letteratura sportiva per gazzetta.it. Dopo anni di letture e analisi, com’è per te la situazione della letteratura sportiva italiana oggi?
Sì, prima di Gazzetta.it, l’ho fatto per anni anche per altri siti o quotidiani, e avevo pure diverse trasmissioni in radio, ma ho smesso nel momento in cui ho iniziato a scrivere sulla Gazzetta dello Sport, a cui mi dedico in maniera esclusiva. La situazione della letteratura sportiva italiana oggi è molto florida: ci sono tantissimi libri di sport e l’argomento non smette mai di esaurirsi. Inoltre, gli editori sono molto ben disposti a pubblicare libri sportivi, perché trasmettono valori, sentimenti e danno spaccati di vita, che nessun altro argomento regala.
Quali sono gli autori, italiani e stranieri che ti piacciono di più, che segui anche nello stile con cui scrivi i tuoi libri?
Mi piacciono tanti autori. Di giovani ce ne sono parecchi. I giornalisti della Gazzetta li leggo tutti, anche quando pubblicano libri: da Valerio Piccioni a Paolo Condò, da Andrea Schianchi a Luigi Garlando. Poi, di Repubblica: Gianni Mura, Emanuela Audisio, e per tanti anni Corrado Sannucci sono miei riferimenti. Per il Corriere, Mario Sconcerti, Tommaso Pellizzari, Roberto Perrone. Insomma, tantissimi, e tutti abili giornalisti….come faccio ad elencarli tutti?

Quale libro di sport sogni di scrivere?

Per ora, sogno di scrivere un giallo. Magari, però, domani mi sveglio con un’altra idea.

2 risposte a “"Un libro di sport può nascere da qualsiasi cosa". Intervista a Gabriella Greison”

  1. Senza nulla togliere all’autrice, sinceramente mi domando che senso abbiano queste operazioni di Limina di sfornare biografie di ragazzi di vent’anni, come quella di Zarate o di Jovetic. Non possono essere romanzi di formazioni perchè, appunto, piegati alla logica del giornalismo-cronaca. Diventano allora dei libri inutili, obsoleti dopo neanche un posticipo di campionato, portati via dalla folata di vento quotidiana che soffia sul calcio-business.
    Mah..

  2. Una biografia di Zarate è un mero atto di marketing rapace… e poi per favore un po’ di pudore con i titoli.. il rifermento a Nietzsche mi pare empio e decontesutalizzato, neanche il titolo di una commedia degli anni 70..

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